Sì a un’assunzione a termine legata a una conciliazione
- 9 Agosto 2024
- Pubblicazioni
Non è discriminatorio subordinare l’assunzione a termine a una conciliazione tombale sui pregressi rapporti a tempo determinato. Questo, in sintesi, il principio di diritto che può ricavarsi dalle sentenze 19188/2024, 19190/2024 e 19192/2024, tutte pubblicate in data 12 luglio 2024 dalla Corte di cassazione. La vicenda a base dei precedenti citati origina da quello che può qualificarsi come un cortocircuito interpretativo. Un’azienda, per il rispetto del diritto di precedenza nelle assunzioni a termine per attività stagionali contenuto in uno specifico accordo sindacale, era tenuta ad assumere determinati lavoratori. Allo stesso tempo, però, la stessa azienda era stata destinataria di diverse sentenze che, non considerando affatto la natura dei contratti stagionali occorsi (peraltro previsti da un accordo sindacale), avevano disposto la stabilizzazione di alcuni lavoratori precari (si vedano le sentenze del Tribunale di Verona 112/2021, 19/2021 e 196/2021). Quindi, l’impresa che svolge un’attività tipicamente stagionale, se avesse assunto a termine avrebbe subito dal giudice la stabilizzazione dei lavoratori, sempre che queste risorse, sommando i rapporti a termine occorsi, avessero superato il limite di durata previsto dalla legge. Ma allo stesso se non avesse assunto quegli stessi lavoratori avrebbe violato uno specifico diritto di precedenza stabilito da accordo sindacale. A questo punto la soluzione aziendale è stata quella di subordinare la nuova assunzione a carattere stagionale alla sottoscrizione da parte del lavoratore di un accordo di conciliazione con cui rinunciava a impugnare l’ultimo rapporto a termine. Diversi lavoratori hanno impugnato la scelta aziendale affermando che la mancata stipula contrattuale sarebbe stata una condotta discriminatoria indiretta. Sulla materia si registra un precedente di merito (Corte di appello di Napoli 3883/2021) in forza del quale una condotta analoga a quella sin qui descritta veniva qualificata come discriminazione per «convinzioni personali» (articolo 1 del Dlgs 216/2003). Si arriva a questa qualificazione ritenendo questo fattore di protezione un «contenuto materiale ampio e composto, comprendente anche posizioni volontaristiche come quella in esame». La Cassazione, invece, si discosta fortemente da questa lettura affermando che l’espressione «convinzioni personali», pur se caratterizzata dall’eterogeneità delle ipotesi di discriminazione ideologica estesa alla sfera dei rapporti sociali, fa riferimento a opinioni del lavoratore, anche con una proiezione dinamica e fattuale (ad esempio, adesione a un’associazione sindacale, esercizio del diritto di sciopero), le quali determinano un profilo di svantaggio all’accesso al lavoro, che nel caso esaminato non erano state in alcun modo dimostrate. Nel caso esaminato, poi, non sono state dimostrate manifestazioni di convincimenti morali, filosofici, sociali e, più in genere, scelte riferibili alla sfera intima della coscienza individuale che hanno influenzato la condotta datoriale. Sul punto si ricorda che per discriminazione deve intendersi una ingiustificata differenza di trattamento dovuta a un determinato fattore tipizzato di protezione indicato dalla legge. Quindi il rifiuto di sottostare alla richiesta aziendale di nuova assunzione solo previa conciliazione cosiddetta tombale su pregresse rivendicazioni non esprime un preesistente convincimento personale su un dato argomento o sistema valoriale, né una particolare sua iniziativa, ma il mero rifiuto di sottostare a una pattuizione che il lavoratore ha ritenuto di carattere illegittimo e comunque ingiustificato. Del resto, osserva la Cassazione, se passasse una diversa lettura il concetto di discriminazione si dilaterebbe al punto da estendersi a qualsiasi condotta datoriale che si assuma come illegittima e alla quale il lavoratore voglia opporsi.
Fonte: SOLE24ORE