Licenziamento disciplinare: le garanzie applicabili ai dirigenti

Licenziamento disciplinare: le garanzie applicabili ai dirigenti

  • 9 Agosto 2024
  • Pubblicazioni
Il licenziamento del dirigente, motivato da una condotta colposa o comunque manchevole, deve essere considerato di natura disciplinare e deve essere assoggettato alle garanzie procedurali previste dallo Statuto dei Lavoratori. A ribadirlo è la Cassazione con ordinanza 30 luglio 2024 n. 21223. Nel caso in esame la Corte d’appello territorialmente competente aveva accolto il ricorso presentato da una società e, in riforma della sentenza di primo grado, aveva respinto la domanda formulata da un suo ex dirigente affinché venisse dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimatogli. Nello specifico la Corte d’appello, richiamando precedenti giurisprudenziali e l’art. 22 del CCNL dirigenti industria applicabile al rapporto di lavoro, aveva sottolineato che:
  1. il datore di lavoro avesse la facoltà di esplicitare o integrare i motivi del licenziamento in sede giudiziale;
  2. tale facoltà era stata esercitata dalla società;
  3. non si era verificata nessuna lesione al diritto di difesa del dirigente, avendo questi dimostrato di avere ben compreso le ragioni poste a base del recesso e di essersi difeso nel merito sia con lettera che in sede di audizione. Pertanto, ad avviso della stessa, non vi era stato alcun vizio inerente al difetto di specificità della contestazione disciplinare.
Entrando nel merito della vicenda, la Corte d’appello aveva poi dichiarato sussistenti gli addebiti contestati, sia con riferimento ai sistematici accessi o tentativi di accesso alle caselle di posta elettronica “cavicchiolo” e “amministrazione” e sia con riferimento alla indebita percezione di provvigioni. Addebiti, giudicati di gravità tale da ledere in maniera definitiva il vincolo fiduciario che legava le parti, integrando una giusta causa di licenziamento. Il dirigente decideva così di adire la Corte di Cassazione, affidandosi a 9 motivi, a cui resisteva la società con controricorso ed entrambi depositavano memorie. Per quanto di precipuo interesse, la Corte di Cassazione adita ha richiamato le Sezioni Unite che con la sentenza n. 7880/2007 hanno statuito, con riferimento al licenziamento disciplinare del dirigente, il seguente principio di diritto “le garanzie procedimentali dettate dall'art. 7, commi secondo e terzo, della legge 20 marzo 1970, n. 300, devono trovare applicazione nell'ipotesi di licenziamento di un dirigente - a prescindere dalla specifica collocazione che lo stesso assume nell'impresa - sia se il datore di lavoro addebiti al dirigente stesso un comportamento negligente (o, in senso lato, colpevole) sia se a base del recesso ponga, comunque, condotte suscettibili di farne venir meno la fiducia. Dalla violazione di dette garanzie, che si traduce in una non valutabilità delle condotte causative del recesso, ne scaturisce l'applicazione delle conseguenze fissate dalla contrattazione collettiva di categoria per il licenziamento privo di giustificazione, non potendosi per motivi, oltre che giuridici, logico-sistematici assegnare all'inosservanza delle garanzie procedimentali effetti differenti da quelli che la stessa contrattazione fa scaturire dall'accertamento della insussistenza dell'illecito disciplinare o di fatti in altro modo giustificativi del recesso”. Evidenzia, peraltro, la Corte di Cassazione che la stessa Corte Costituzionale, con alcune pronunce riprese peraltro dalle Sezioni Unite, aveva osservato che le garanzie procedurali di cui all’art. 7 della Legge n. 300/1970 devono essere garantite, indipendentemente dal numero dei dipendenti in forza presso il datore di lavoro, al lavoratore qualora gli debba essere comminata la massima sanzione. Ciò in quanto:

  • “non vi è dubbio che il licenziamento per motivi disciplinari, senza l’osservanza delle suddette garanzie, può incidere sulla sfera morale e professionale del lavoratore”, creando “ostacoli o addirittura impedimenti alle nuove occasioni di lavoro che il licenziato deve poi necessariamente trovare”;
  • la disposizione normativa in questione esige come essenziale presupposto della sanzione disciplinare lo svolgersi di un procedimento, ossia quella di forma di atto che “rinviene il suo marchio nel rispetto della regola del contradittorio”;
  • “la valutazione dell'addebito, necessariamente prodromica all'esercizio del potere disciplinare, non è un mero processo interiore ed interno a chi tale potere esercita”, implicando il coinvolgimento del lavoratore che deve poter produrre, in tempi ragionevoli, le proprie giustificazioni.
In sostanza, “la generalizzata estensione delle procedure di contestazione dei fatti posti a base del recesso” trova il suo fondamento nella capacità degli stessi di incidere, al di là dell’aspetto economico, sulla stessa persona del lavoratore ledendone alcune volte in modo irreversibile la sua stessa immagine. Ne consegue che non può ammettersi una lettura restrittiva dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, altrimenti si finirebbe per penalizzare i dirigenti, che – specie se con posizioni di vertice e se dotati di più incisiva autonomia funzionale – potrebbero subire dei danni, con conseguenze irreversibili per la loro futura collocazione sul mercato, da un licenziamento. Licenziamento che, non consentendo una efficace e tempestiva difesa, “può lasciare ingiuste aree di dubbio sulla trasparenza del comportamento tenuto e sulla capacità di assolvere a quei compiti di responsabilità correlati alla natura collaborativa e fiduciaria caratterizzante il rapporto di lavoro”. Su questa scorta, la Corte di Cassazione ribadisce che il licenziamento del dirigente, motivato da una condotta colposa o comunque manchevole, deve essere considerato di natura disciplinare, indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari previste dallo specifico regime del rapporto. Detto provvedimento deve essere assoggettato alle garanzie dettate a tutela del lavoratore circa la contestazione degli addebiti e il diritto di difesa. L’applicabilità dell’art. 7 dello St. lav. ad ogni dirigente comporta, quindi, la necessità della previa contestazione dell’addebito, in modo conforme ai requisiti di specificità e tempestività, e la sua immodificabilità. La previa contestazione dell’addebito ha la finalità di consentire al lavoratore proprio l’immediata difesa e deve, di conseguenza, rivestire il carattere della specificità che si realizza quando vengono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti in cui il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione degli artt. 2104 e 2105 c.c. E la violazione di tale principio si concretizza quando vi è una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore. Passando alla fattispecie di cui è causa, ad avviso della Corte di Cassazione, i giudici di merito, in linea con quanto sopra esposto, hanno giudicato specifica la contestazione mossa nei confronti del dirigente così come escluso qualsivoglia violazione del suo diritto di difesa. Ciò in quanto lo stesso aveva dimostrato di aver ben compreso le ragioni poste a fondamento del recesso, difendendosi nel merito sia nella lettera di giustificazioni che durante l’incontro richiesto. In considerazione di quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso e la condanna del lavoratore al pagamento delle spese di giudizio.


Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL