Appalto non genuino: stop ai benefici fiscali per l’impresa

Appalto non genuino: stop ai benefici fiscali per l’impresa

  • 9 Agosto 2024
  • Pubblicazioni
Una recente ordinanza della Cassazione (sezione V, n. 20591 del 24 luglio) sul tema dell’intermediazione di personale segna una lenta ma continua evoluzione del pensiero giurisprudenziale sulle differenze fra i contratti di appalto genuini e le somministrazioni illecite di personale. L’ordinanza stabilisce un nuovo principio di diritto sul tema, che al netto di un errore di battitura (di cui piu’ avanti) supera e chiarisce quanto previsto, sempre tramite un altro principio di diritto, nella sentenza 18455 del 28 giugno 2023. Cuore dell’ordinanza e del principio di diritto è il riconoscimento inequivocabile su un accertamento emesso da parte dell’agenzia delle Entrate (anno d’imposta 2015) che negli appalti “leggeri” ovvero quelli con elevata presenza di manodopera «è sufficiente che in capo all’appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti». E ancora, nel caso in cui rimangano in capo all’appaltatore «solo compiti di gestione amministrativa del rapporto», il contratto deve considerarsi nullo con l’impossibilità di detrarsi l’Iva e anche di dedursi ai fini delle imposte dirette i costi sostenuti per l’appalto. L’ordinanza conferma anche quanto contenuto nella precedente sentenza del 2023, dove è necessario per porre in essere un contratto di appalto genuino che vi sia «la realizzazione di un risultato in sè autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro». Quanto sopra riportato evidenzia ancora una volta che l’appalto deve permettere, per la tipologia di intervento richiesto, una misurazione economica dell’attività svolta con la possibilità concreta che il risultato a posteriori possa essere anche negativo. Da ciò si deduce che la genuinità dell’appalto - in ambito fiscale - non dipende da eventuali cash flow negativi di commessa che in qualche modo possano indurre a mancati versamenti Iva o più in generale a omessi versamenti tributari, poiché proprio la presenza di un risultato economico negativo è la dimostrazione tangibile che il rischio d’impresa di quell’attività appaltata è stata traslata dal committente all’appaltatore. Il giudice tributario doveva, quindi, rispetto al caso di specie (attività di facchinaggio- esercizio 2015) – valutare - come primo requisito distintivo per la qualificazione del contratto posto in essere – se l’appaltatore avesse assunto o meno i rischi d’impresa per la realizzazione dell’attività. Unitamente al rischio, il giudice deve verificare come ulteriore requisito che l’impresa appaltatrice diriga e organizzi l’attività appaltata, anche per il tramite di una «organizzazione che può anche essere minima». L’ordinanza prosegue - nell’ambito del principio di diritto - affermando, invece, che negli appalti “pesanti” (nella sentenza è stato definito probabilmente erroneamente come un appalto “labour intensive”) «il requisito si sostanzia soprattutto nell’esercizio del potere direttivo dei mezzi e materiali» dove l’organizzazione del personale è invece decisamente meno rilevante o trascurabile.


Fonte: SOLE24ORE