La retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore. A stabilirlo è la Cassazione con sentenza 19 luglio 2024 n. 19991. Nel caso in esame, la Corte d’appello territorialmente competente aveva confermato la sentenza di primo grado con cui era stato accertato il diritto del lavoratore ricorrente a vedersi incluso, nella retribuzione dovuta durante le ferie, l’indennità di assenza dalla residenza e l’indennità di utilizzazione professionale senza esclusione della parte variabile, con conseguente condanna della società al pagamento delle relative differenze retributive. La società soccombente ricorreva in cassazione avverso la decisione di secondo grado, affidandosi ad otto motivi, a cui resisteva il lavoratore con controricorso. Entrambi le parti depositavano memorie. Per quanto di precipuo interesse, la Corte di Cassazione, nel formulare la propria decisione, richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie subisce l’influenza dell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia Europea (la “CGUE”). Quest’ultima, in particolare, ha precisato come l’espressione “ferie annuali retribuite” contenuta nell’art. 7, n. 1, della Direttiva n. 88/2003 fa riferimento al fatto che, durante le ferie annuali, deve essere mantenuta la retribuzione che il lavoratore percepisce in via ordinaria. La CGUE vuole così assicurare al lavoratore, a livello retributivo, una situazione sostanzialmente equiparabile a quella ordinaria nei periodi di lavoro. Ciò in quanto, una diminuzione della retribuzione potrebbe dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione. Ne consegue, ad avviso della Corte di Cassazione, che “qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo, che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza”. Pertanto, la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore. Nel caso in esame, la Corte di Cassazione ricorda che vengono ad essere messi in discussione la c.d. indennità di utilizzazione professionale e l’indennità per assenza della residenza. Ebbene, quest’ultima voce, in quanto diretta a compensare il disagio dell’attività tipica del dipendente viaggiante derivante dal non avere un luogo fisso di lavoro, deve essere inclusa nella retribuzione feriale. La corresponsione, in forma continuativa, di una simile indennità è immediatamente collegata alle mansioni tipiche del dipendente (macchinista), essendo destinata a compensare il disagio dell’attività derivante dal non avere una sede fissa di lavoro e dall’essere continuamente in movimento, lontano dalla sede formale di lavoro. Proprio in base alla medesima ratio (collegamento funzionale con le mansioni tipiche) non può che ritenersi fondata, ad avviso della Corte di Cassazione, la domanda collegata alla parte variabile dell’indennità di utilizzazione professionale. Si tratta di una voce ordinariamente corrisposta per i periodi di lavoro, la cui erogazione in misura ridotta nel periodo di ferie, in base a una verifica ex ante, è potenzialmente dissuasiva al godimento delle stesse, tenuto conto della continuatività dell’erogazione nel corso dell’anno e dell’incidenza sul trattamento economico mensile. Sul punto la Corte di Cassazione ricorda che secondo la CGUE:
- “la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore” (…);
- “l’ottenimento della retribuzione ordinaria durante il periodo di ferie annuali retribuite è volto a consentire al lavoratore di prendere effettivamente i giorni di ferie cui ha diritto” e
- “quando la retribuzione versata a titolo del diritto alle ferie annuali retribuite previsto all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 (…) è inferiore alla retribuzione ordinaria ricevuta dal lavoratore durante i periodi di lavoro effettivo, lo stesso rischia di essere indotto a non prendere le sue ferie annuali retribuite, almeno non durante i periodi di lavoro effettivo, poiché ciò determinerebbe, durante tali periodi, una diminuzione della sua retribuzione”.
Sottolinea, altresì, la Corte di Cassazione che il giudice nazionale è tenuto ad interpretare la normativa locale in modo conforme all’art. 7, par. 1, della Direttiva 2003/88, con la precisazione che:
- secondo detta interpretazione, l’indennità per ferie retribuite versata ai lavoratori, a titolo delle ferie minime previste dalla disposizione sopra citata, non deve essere inferiore alla media della retribuzione ordinaria da essi percepita durante i periodi di lavoro effettivo e
- la struttura della retribuzione ordinaria di un lavoratore, “sebbene (…) di per sé ricada nelle disposizioni e prassi disciplinate dal diritto degli Stati membri”, “non può incidere sul diritto del lavoratore (…) di godere, nel corso del suo periodo di riposo e di distensione, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all’esercizio del suo lavoro” (…).
Pertanto, “qualsiasi prassi o omissione da parte del datore di lavoro che abbia un effetto potenzialmente dissuasivo sulla fruizione delle ferie annuali da parte di un lavoratore è incompatibile con la finalità del diritto alle ferie annuali retribuite”. Conclude così la Corte di Cassazione per il rigetto del ricorso e la condanna della società soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL