Dimissioni per giusta causa del dirigente

Dimissioni per giusta causa del dirigente

  • 17 Luglio 2024
  • Pubblicazioni
È illegittimo il comportamento di un’azienda che, dopo aver ricevuto le dimissioni con preavviso del dirigente, lo priva dell’accesso al posto di lavoro e alla posta elettronica aziendale: a fronte di questa condotta, il dipendente può lasciare immediatamente il rapporto, senza rispettare il periodo di preavviso, in quanto sussiste una giusta causa in base all’articolo 2119 del Codice civile. Questo il principio elaborato dalla Corte di cassazione (ordinanza 18263/2024) per confermare la legittimità della condotta di un dirigente che ha rassegnato le dimissioni dal lavoro dando il preavviso previsto dal contratto ma ha subito una dura ritorsione da parte del datore di lavoro, che gli ha bloccato l’account di posta elettronica aziendale, impedito l’accesso al computer e anche l’ingresso fisico in ufficio. A fronte di questa reazione del datore di lavoro, il dirigente ha inviato una nuova lettera di dimissioni, con la quale - al contrario della prima - recedeva immediatamente, senza preavviso, dal rapporto «in considerazione del vostro grave comportamento che non mi permette di prestare l’attività lavorativa nel periodo di preavviso». La società ha contestato la sussistenza di una giusta causa e trattenuto una somma pari all’indennità sostitutiva del preavviso. Il dirigente ha avviato un contenzioso per vedere pagare tale somma, ma in primo grado e in appello i giudici di merito hanno rigettato la domanda, escludendo la sussistenza di una giusta causa di dimissioni. Secondo i giudici, la condotta datoriale si era concretizzata nella sospensione delle ordinarie modalità di svolgimento della prestazione per soli cinque giorni, una durata insufficiente a integrare una giusta causa, tanto più che la scelta aziendale poteva giustificarsi con la necessità di tutelare la riservatezza delle proprie informazioni, anche alla luce delle delicate mansioni svolte dal dirigente dimissionario. Ai fini della astratta integrazione della giusta causa di recesso, alla durata e alla reiterazione dell’inadempimento, questa ricostruzione faceva leva su una precedente pronuncia di legittimità (Cassazione 6437/2020) che conferiva grande importanza a tale elemento. La Cassazione, con l’ordinanza 18263/2024, ha confutato questo ragionamento, escludendo che una sospensione possa considerarsi legittima in quanto disposta per «soli cinque giorni». Secondo i giudici di legittimità, nel soppesare la gravità dell’inadempimento datoriale i giudici di appello avrebbero dovuto porre mente al fatto che il nostro sistema giuridico contempla la sospensione del rapporto di lavoro sotto una duplice veste: quella cosiddetta cautelare, una misura di carattere provvisorio strumentale all’accertamento dei fatti relativi alla violazione degli obblighi inerenti al rapporto, e quella cosiddetta disciplinare, una sanzione disciplinare applicabile a fronte di un accertato inadempimento del lavoratore (Cassazione 25136/2010 e 15353/2012). In entrambi i casi, la legittimità della sospensione unilaterale del rapporto lavorativo è correlata all’esistenza, accertata o solo contestata, di un inadempimento del lavoratore ai propri obblighi. Al contrario, prosegue la sentenza,  illegittima è la sospensione del rapporto di lavoro disposta a fronte dell’esercizio di un diritto del dipendente - quale il diritto di recesso con preavviso - a prescindere dalla durata della sospensione stessa. Anche perché, osserva la Corte, l’esigenza aziendale di salvaguardare le informazioni e i clienti della società si sarebbe potuta tutelare in svariati altri modi consentiti dall’ordinamento come, ad esempio, la rinuncia al preavviso con corresponsione della relativa indennità. Non conta, quindi, ai fini della giusta causa la durata dell’inadempimento datoriale ma, piuttosto, va considerata la complessiva condotta della società, che non può sospendere il lavoratore che esercita un proprio diritto.


Fonte: SOLE24ORE