Lettere minatorie, licenziamento solo con prova certa
- 17 Luglio 2024
- Pubblicazioni
È illegittimo il licenziamento del lavoratore se non viene dimostrato che le lettere minatorie dirette contro l’azienda erano a lui riconducibili. È quanto stabilito dalla sentenza della Cassazione 17625/2024 del 24 giugno. Il lavoratore era stato licenziato perché il datore di lavoro aveva ritenuto che avesse redatto, in forma anonima, e diffuso, due lettere dal contenuto offensivo e diffamatorio verso il capo del personale dell’azienda. La Cassazione conferma quanto stabilito dai giudici di secondo grado, i quali hanno rilevato che non vi era congrua prova in giudizio idonea a far ritenere possibile e verosimile, secondo un criterio di normalità, l’avvenuta redazione e diffusione delle due lettere minatorie da parte del dipendente. La prima delle due lettere (del 2004) era stata trovata su un hard disk esterno sequestrato presso l’abitazione del lavoratore, ma, ad avviso della Corte d’appello, era stata plausibilmente trasferita dal computer del dipendente sul quale era stata creata e poteva quindi essere stata trasformata dopo manomissione dello stesso pc. Sempre ad avviso della Corte, non era stata fornita congrua prova in giudizio sulla redazione e diffusione da parte del lavoratore della seconda lettera (del 2010), trovando la statuizione conforto nella sentenza di assoluzione per il reato di diffamazione di cui era stato imputato il dipendente dal giudice di pace. Ad avviso della Cassazione, la Corte distrettuale, attraverso una motivata analisi delle emergenze istruttorie e un ragionamento anche indiziario, ha rilevato la mancanza di idonei elementi per ritenere sussistente la giusta causa del licenziamento, il cui onere probatorio, a fronte della prospettazione di fatti estintivi e modificativi addotti dal lavoratore in via di eccezione, grava sul datore di lavoro. I giudici supremi ricordano che, nella prova per presunzioni in base agli articoli 2727 e 2729 del Codice civile, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che dal fatto noto sia desumibile quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sul “id quod plerumque accidit”, «sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza. In tema di prova per presunzioni, inoltre, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’articolo 2729 del Codice civile e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, i fatti ignoti da provare costituisce attività riservate in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito».
Fonte: SOLE24ORE