Licenziamento a fine comporto: quando spetta il preavviso

Licenziamento a fine comporto: quando spetta il preavviso

  • 17 Luglio 2024
  • Pubblicazioni
Il datore di lavoro ha diritto di recedere ad nutum dal contratto nel caso in cui sia stato superato il periodo di comporto da parte del lavoratore. La durata massima del periodo di malattia o infortunio è disciplinata dai contratti collettivi nazionali che definiscono le modalità di attuazione del principio generale previsto dal codice civile. Il periodo di comporto consiste nel periodo massimo di non lavoro dovuto a malattia o infortunio, al ricorrere del quale il datore di lavoro non può procedere al licenziamento. La disposizione è contenuta all'interno dell'art. 2110 del codice civile che, al comma 2, stabilisce che “in caso di infortunio e malattia, l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell'articolo 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità.”. Si distinguono due tipologie di comporto per cui è prevista la conservazione del posto di lavoro:

- il comporto secco, nel caso di un'unica malattia di lunga durata;

- il comporto per sommatoria, nel caso di più malattie.

Verifiche preliminari

Il datore di lavoro deve in primis verificare che nei periodi presi in considerazione non vi siano eventuali malattie escluse dal periodo di comporto (ad esempio le malattie di natura oncologica) nonché le malattie o infortuni imputabili al datore di lavoro per violazione delle norme in materia di tutela della salute e sicurezza. Da questo punto di vista ci viene la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2527 del 4 febbraio 2020 e l'ordinanza n. 7247 del 4 marzo 2022, ha affermato come “le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell'articolo 2110 c.c., sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinché l'assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un'origine professionale, ossia meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex articolo 2087 codice civile”. La stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27334 del 16 settembre 2022, ha stabilito che ove il giudice di merito accerti il mancato superamento del periodo di comporto, occorre disporre la reintegra nel posto di lavoro, a prescindere dal numero dei dipendenti in forza presso l'azienda, in quanto si è in presenza di un recesso adottato in violazione di una norma di legge, per cui il mero risarcimento non è sufficiente per sanare l'errore datoriale. Per quanto riguarda la comunicazione di licenziamento per superamento del comporto, occorre rispettare il requisito di tempestività della comunicazione di recesso: il trascorrere di un lasso di tempo eccessivo può significare la rinuncia del datore di lavoro ad esercitare il diritto di recedere dal contratto per il superamento del periodo di comporto (Cassazione, sentenza n. 7899 del 22 luglio 1999). In caso di recesso, il datore di lavoro dovrà concedere il periodo di preavviso ovvero erogare la relativa indennità sostitutiva del mancato preavviso. Ai fini della determinazione dell'ammontare dell'indennità di mancato preavviso devono considerarsi tutti gli elementi retributivi aventi carattere continuativo, nonchè l'equivalente della retribuzione in natura (vitto, alloggio) dovuta al lavoratore. Nell'ipotesi di retribuzioni composte in tutto o in parte da elementi variabili come ad esempio provvigioni, premi di produzione, partecipazioni, l'indennità di mancato preavviso è calcolata sulla media degli emolumenti degli ultimi tre anni di servizio o del minor tempo di servizio prestato. L'indennità sostitutiva del preavviso deve essere calcolata sulla retribuzione in atto al momento della risoluzione del rapporto e occorre tenere conto anche di eventuali ratei di tredicesima mensilità e altre mensilità aggiuntive. La Corte di Cassazione che con la sentenza n. 9095, del 31 marzo 2023 ha affermato la nullità di un licenziamento per superamento del periodo di comporto irrogato a un lavoratore disabile, qualora il CCNL non abbia differenziato tale periodo per i lavoratori affetti da patologie correlate alla disabilità, in quanto ciò si presta a forme di discriminazione indiretta. Non trattandosi di licenziamento disciplinare non è obbligatoria una preventiva contestazione delle assenze, né, tantomeno, è obbligatorio riportare analiticamente l'elenco delle assenze (Cassazione, sentenza n. 20761/2018). La Corte di Cassazione (sentenza n. 6336 del 2 marzo 2023) ha precisando che il datore di lavoro non è obbligato a specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive; tuttavia, la motivazione da indicare nella lettera di recesso deve essere idonea ad evidenziare il superamento del comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, dando atto del numero totale di assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l'onere, nell'eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato.  L'elenco delle assenze potrà essere consegnato al lavoratore dopo il licenziamento, previa sua richiesta (Cassazione, sentenza n. 5752/2019). N.B. Il lavoratore, in prossimità del termine del periodo di comporto (non dopo), potrà richiedere la fruizione delle ferie residue, al fine di procrastinare la scadenza del periodo di comporto. Tali ferie potranno essere negate, da parte del datore di lavoro, esclusivamente in presenza di motivate ragioni (Cassazione, sentenza n. 27392/2018). Il recesso al termine del periodo di comporto non è da considerarsi quale licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in quanto ha una propria norma di riferimento (art. 2110 c.c.) e non è previsto nell'art. 3 Legge 604/66. Inoltre, l'art. 7, Legge 604/66, lo esclude dalla procedura di conciliazione obbligatoria prevista in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Da questo punto di vista, la Corte di Cassazione, con la sentenza a Sezioni Unite n. 12568, del 22 maggio 2018), ha precisato che “la giurisprudenza ritiene tale recesso assimilabile ad uno per giustificato motivo oggettivo anziché per motivi disciplinari: si tratta d'una mera "assimilazione" (e non "identificazione") affermata al solo fine di escludere la necessità d'una previa completa contestazione (indispensabile, invece, in tema di responsabilità disciplinare), da parte datoriale, delle circostanze di fatto (le assenze per malattia) relative alla causale e di cui il lavoratore ha conoscenza personale e diretta.


Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL