Necessario indicare l’orario part time con turni programmati
La Cassazione, con l’ordinanza 11333/2024, ha smontato un altro pezzo del Jobs act: dopo le tutele crescenti è la volta della norma sul part time laddove, nell’articolo 5, comma 3, del Dlgs 81/2015 si stabilisce che «quando l’organizzazione del lavoro è articolata in turni, l’indicazione di cui al comma 2 può avvenire anche mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite». Di fatto, la Cassazione ha affermato che «non è possibile sostenere invece che la possibilità di prevedere lo svolgimento dell’orario part time in turni (anche mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite) comporti anche la deroga all’esigenza della puntuale indicazione dei turni nel contratto di lavoro (che la stessa legge vuole programmati per fasce prestabilite)». Pertanto, anche se la norma (sufficientemente chiara) stabilisce la possibilità di sostituire la puntuale indicazione dell’orario nel contratto individuale con un “rinvio” di tale indicazione ad atti esterni ad esso (ossia, alla periodica assegnazione dei turni), la Cassazione nei fatti disconosce la norma del “rinvio” (comma 3) sostenendo, in ogni caso, la necessità della puntuale indicazione dell’orario nel contratto che invece è prevista nel comma 2 per le sole aziende che non lavorano a turni. La Suprema corte sostiene questa posizione di indicazione dell’articolazione oraria dell’attività nel contratto individuale «per consentire al lavoratore una migliore organizzazione del tempo di lavoro e del tempo libero e di vita quotidiana». La motivazione, dunque, è sempre la solita, in quanto si richiamano i principi della Corte costituzionale (sentenza 210/1992) sebbene essi riguardino una norma abrogata (articolo 5, comma 2, della legge 863/1984). La Corte afferma il principio secondo cui «il legislatore, ha inteso stabilire che, se le parti si accordano per un orario giornaliero di lavoro inferiore a quello ordinario, di tale orario giornaliero deve essere determinata la “distribuzione” e cioè la collocazione nell’arco della giornata». I motivi su cui si basa la Corte costituzionale sono due:
- una diversa interpretazione confliggerebbe con l’articolo 36 della Costituzione perché una imposizione unilaterale rende impossibile al lavoratore assumere e programmare altre occupazioni per percepire, con più rapporti a tempo parziale, una retribuzione complessiva sufficiente a realizzare un’esistenza libera e dignitosa. Inoltre, confliggerebbe con l’articolo 38 della Costituzione perché, in caso di impossibilità di reperimento di una nuova occupazione, danneggerebbe la posizione pensionistica del lavoratore;
- poiché è lesivo di qualunque spazio di libera disponibilità del proprio tempo di vita.
Sulla norma del Jobs act (articolo 5, comma 3, del Dlgs 81/2015) gli orientamenti di merito sono stati due. Il primo accettava la possibilità di rinviare a uno schema di turni, purché questi ultimi fossero comunicati con congruo anticipo (Corte d’appello Milano, sentenze 1042 del 30 novembre 202 e 811 del 25 ottobre 2022). Il secondo ha affermato che, per una collocazione dell’orario di lavoro part time rispettosa della norma di legge, è richiesta la immediata indicazione dell’articolazione dell’attività in turno richiesta al lavoratore, al fine di consentire allo stesso una migliore organizzazione del tempo di lavoro e del tempo libero, ritenendo non conforme la comunicazione annuale dei turni (Corte appello Milano, sentenza 763 del 5 settembre 2023). La Cassazione, con l’ordinanza 11333/2024, accoglie questo secondo orientamento. A questo punto è necessaria una riflessione da farsi nella fase di assunzione del lavoratore a tempo parziale. Ci si chiede se i principi costituzionali espressi nella sentenza 210/1992 operino in senso oggettivo, ossia stabiliscano un’automatica incompatibilità del rapporto part-time ogni volta non venga indicata la distribuzione dell’orario di lavoro, ovvero, in senso soggettivo tale da ritenere legittima l’assunzione di un part timer con un orario di lavoro indicato mediante rinvio a turni programmati, se il datore di lavoro può fornire la prova che tale organizzazione a turni è compatibile con le esigenze del dipendente. Qualora l’interpretazione portasse a una valutazione di natura oggettiva, si porrebbe un serio problema di tenuta di molte organizzazioni imprenditoriali che non sarebbero in grado di sostenere un irrigidimento dell’orario di lavoro e avrebbe come unica conseguenza l’incremento esponenziale del contenzioso, che non gioverebbe a nessuno. Peraltro, tale scelta interpretativa toglierebbe a molte persone la possibilità di lavoratore a turni anche quando questi risultino compatibili con la loro situazione personale e di lavoro. Qualora, invece, la valutazione fosse auspicabilmente di natura soggettiva, allora è indispensabile agire sul contratto di lavoro chiarendo che il lavoro a turni (come molto spesso accade) è stato concordato con il dipendente in quanto compatibile con la situazione personale e di lavoro. È auspicabile, comunque, che gli accordi collettivi, anche di secondo livello, affrontino il problema individuando soluzioni costituzionalmente orientate per evitare l’insorgenza di un inutile contenzioso.
Fonte:SOLE24ORE