Patto di stabilità legato al costo della formazione
La sentenza 1646 del 9 febbraio 2024, con cui il Tribunale di Roma ha convalidato una clausola contrattuale che poneva a carico di un apprendista l’obbligo di risarcire il datore di lavoro in caso di dimissioni, riaccende i riflettori sui patti di stabilità, uno strumento sempre più utilizzato dalle aziende per trattenere i lavoratori ritenuti importanti per le rispettive organizzazioni. In un’epoca dove le competenze sono sempre più difficili da reperire sul mercato e i lavoratori hanno la propensione crescente alla mobilità professionale, le aziende hanno sempre maggiore interesse a trovare efficaci strumenti di ritenzione e fidelizzazione del personale. Alcuni di questi strumenti hanno natura promozionale e fanno leva sull’interesse volontario del dipendente (piani azionari a medio e lungo termine, strumenti finanziari eccetera) a restare in azienda; il patto di stabilità si distingue da questi sistemi perché limita in modo vincolante il potere del dipendente di dimettersi prima di una certa data, salvo i casi predefiniti dalle parti (di regola, si fa riferimento all’ipotesi che sussista una giusta causa), prevedendo anche delle forti penalizzazioni per chi viola tale obbligazione. Un impegno che, secondo la giurisprudenza, non rientra tra le clausole vessatorie (disciplinate dall’articolo 1341 del Codice civile) ma che, per essere valido, deve trovare un adeguamento bilanciamento nel rispetto di alcune condizioni. La prima di queste condizioni è la reciprocità (Cassazione 14457/2017 e Tribunale di Roma 2961/2021): se il lavoratore si impegna a non dimettersi prima di una certa data, analogo vincolo deve essere posto in capo al datore di lavoro, che deve garantire che non interromperà il rapporto per motivi economici, organizzativi o di altra natura. La reciprocità non è, tuttavia, sempre indispensabile ai fini della validità del patto: può sussistere, infatti, un patto di stabilità che preveda l’obbligo di non interrompere il rapporto a carico di una sola parte, ma in tale evenienza deve essere previsto un adeguato corrispettivo in favore del dipendente. Corrispettivo che serve anche come parametro da usare per l’eventuale violazione dell’impegno, dovendo essere restituito per intero, oltre all’eventuale risarcimento dei danni, che non di rado viene predeterminato mediante penali concordate tra le parti (Cassazione 17010/2014). In passato, prima ancora della recente sentenza di Roma, la giurisprudenza ha messo in evidenza che il corrispettivo spettante al lavoratore come controprestazione dell’impegno di stabilità può essere individuato anche nel costo della formazione finanziata dal datore di lavoro (Cassazione 1435/1998). Questo corrispettivo è valido, tuttavia, a condizione che il datore abbia sostenuto un reale costo finalizzato alla formazione del lavoratore e che quindi sia interessato «a poter beneficiare per un periodo di tempo minimo ritenuto congruo, del bagaglio di conoscenze acquisito dal lavoratore» (Tribunale di Velletri, sentenza 305 del 21 febbraio 2017). L’effettiva sussistenza di un costo per la formazione è, quindi, un elemento importante per valutare la tenuta del patto di stabilità, soprattutto nell’ambito dell’apprendistato dove l’ordinamento collega corposi incentivi economici (sgravi contributivi, sotto inquadramento) e normativi (flessibilità in uscita) e l’erogazione della formazione. Da questo punto di vista, la sentenza di Roma sembra fare un passo in avanti rispetto alle decisioni precedenti, in quanto valorizza un costo – quello formativo – che per il datore di lavoro è ampiamente compensato dai vantaggi normativi e contributivi riconosciuti dall’ordinamento. Sarà interessante capire se questa lettura evolutiva verrà confermata negli altri gradi di giudizio. A prescindere dal caso specifico dell’apprendistato, gli orientamenti della giurisprudenza sembrano sempre più consolidati: i patti di stabilità sono considerati legittimi e possono effettivamente condizionare il potere di recedere dal rapporto di lavoro, a patto che siano adeguatamente bilanciati da sacrifici, economici o normativi, proporzionati al vincolo assunto dal dipendente.
Fonte: SOLE24ORE