Illegittimi i controlli ex post sui dispositivi dei lavoratori
Veniamo dunque al caso deciso dalla Corte d'Appello di Firenze con la sentenza n. 684 del 2023, pubblicata in data 24 maggio 2024: tre dipendenti di una società di brokeraggio assicurativo erano stati accusati:
- di aver illegittimamente trasmesso segreti commerciali ad un'azienda concorrente (per la quale avevano tra l'altro iniziato a lavorare poco dopo aver rassegnato le loro dimissioni);
- di aver agito al fine di stornare clienti verso il loro nuovo datore di lavoro;
- di aver svolto per lungo tempo un'attività occulta di brokeraggio rivolta ai clienti della loro ex datrice di lavoro, contattando le compagnie a cui essa si riferiva e riscuotendo i relativi compensi all'insaputa della società. Per tali ragioni, la società si era opposta ai decreti ingiuntivi ottenuti dai lavoratori per il pagamento delle spettanze di fine rapporto, formulando domanda riconvenzionale al fine di ottenere il risarcimento dei maggiori danni subiti a causa di quanto sopra.
La società sosteneva di aver scoperto le condotte illecite dei dipendenti grazie a dei controlli effettuati sui dispostivi informatici che venivano utilizzati dagli stessi per rendere le loro prestazione lavorativa; detti controlli, secondo quanto sostenuto dalla società, erano stati attivati dopo aver ricevuto un numero anomalo di disdette da parte della clientela afferente alle sedi di competenza dei tre dipendenti dimissionari e dopo aver avuto notizia, sempre pochi mesi dopo le dimissioni dei lavoratori, del passaggio di un suo storico cliente alla nuova società datrice di lavoro dei tre. Le verifiche avevano consentito di accertare le condotte illecite dei dipendenti, consistite come già detto nella diffusione di documenti riservati (elenchi della clientela, compagnie di riferimento, polizze con relative scadenze, importo dei premi), nello storno di clientela verso il nuovo datore di lavoro dei tre dimissionari e nello svolgimento di attività occulta di intermediazione assicurativa. La Corte fiorentina ha tuttavia ravvisato l'illegittimità di questi controlli (e, di conseguenza, anche l'inutilizzabilità delle informazioni acquisite) in quanto “la società … non avrebbe estratto e utilizzato dati raccolti prima dei fatti, bensì dati, completamente estranei all'attività lavorativa, dei quali i sistemi informatici aziendali avevano tenuto automaticamente traccia nel corso dei rapporti di lavoro, anche in adempimento di obblighi di conservazione attinenti all'attività di intermediazione assicurativa svolta”. Ad avviso della Corte, dunque, ad essere vietato sarebbe anche solo il semplice immagazzinamento dei dati sulla memoria remota dei dispositivi elettronici utilizzati dai dipendenti, anche ove ciò avvenga per impostazione predefinita del sistema e non per volontà del datore di lavoro; il fatto che il controllo venga operato a posteriori e dopo l'insorgere del “fondato sospetto”, in altri termini, non scriminerebbe l'illegittima archiviazione automatica dei dati effettuata senza l'accordo sindacale o in difetto di autorizzazione amministrativa. A parere di chi scrive, la posizione assunta dalla Corte d'Appello di Firenze rischia di produrre una eccessiva dilatazione delle tutele previste dall'art. 4 St. Lav. che finisce a conti fatti per trovare applicazione anche a casi che, a ben vedere, dovrebbero suggerire un più ragionevole bilanciamento tra le esigenze di protezione del patrimonio aziendale e il diritto alla riservatezza dei lavoratori. Estendere l'applicazione della normativa sui controlli a distanza anche all'archiviazione dei dati operata in automatico dai sistemi informatici, infatti, sembra contraddire innanzitutto la regola prevista dal comma 2 dell'art. 4 St. Lav. che come accennato sopra ha previsto uno status speciale per i controlli effettuati sugli strumenti di lavoro in uso presso i dipendenti. Infatti, pare difficile negare che i personal computer su cui erano stati effettuati i controlli dichiarati illegittimi dalla Corte fiorentina potessero rientrare tra gli strumenti di lavoro “strettamente essenziali” allo svolgimento della prestazione. A conti fatti, dunque, la posizione assunta dalla sentenza in esame finirebbe per rendere impraticabile qualsiasi forma di controllo difensivo attuato ex post! Dall'altro lato, poi, il ragionamento proposto dalla Corte fiorentina sembra anche andare contro il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “la produzione in giudizio di documenti contenenti dati personali è sempre consentita ove sia necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa, anche in assenza del consenso del titolare e quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza” purché tale facoltà venga esercitata “…nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza” prevista dalla normativa in materia di protezione dei dati personali (Cass. 20 settembre 2013 n. 21612). Non stupisce dunque che la Corte di Cassazione, in diverse occasioni, abbia seguito una diversa via, ritenendo legittimi i controlli operati ex post dal datore di lavoro al fine di recuperare i dati cancellati dal dirigente prima della riconsegna del personal computer ricevuto in dotazione dall'azienda (Cass. 12 novembre 2021 n. 33809), accertare l'impiego del personal computer per finalità extralavorative e in particolare per dedicarsi al gioco d'azzardo in orario di lavoro (Cass. 28 maggio 2018 n. 13266), o per altre finalità similari, comunque rispondenti alla necessità di far valere un diritto in sede giudiziaria o di tutelare il patrimonio aziendale. In questo quadro, però, è quanto mai opportuno che i datori di lavoro prestino la loro massima attenzione alla redazione delle informative sul trattamento dei dati personali e delle policy sull'utilizzo dei dispositivi informatici, nelle quali è bene che vengano descritte tutte le possibili forme di controllo che potranno essere effettuate dall'azienda, anche a posteriori, al fine di verificare la commissione di eventuali condotte illecite a danno dell'azienda. Questa documentazione, come è stato osservato dalla giurisprudenza, non può risolversi in mero adempimento burocratico ma “…deve essere esaustiva e adeguata e tale non può essere considerata l'indicazione di istruzioni relative all'uso dello strumento tecnologico, non accompagnate dalla specifica individuazione delle modalità di utilizzo che comportano l'acquisizione dei dati” (Trib. Torino 19 settembre 2018 n. 1664; Trib. Padova 22 gennaio 2018).
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL