C. Cost.: Esclusione dirigenti dal divieto di licenziamento

C. Cost.: Esclusione dirigenti dal divieto di licenziamento

  • 11 Giugno 2024
  • Pubblicazioni

Il divieto di licenziamento introdotto durante l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia finisce davanti alla Corte costituzionale, nella parte in cui non si estendeva ai recessi individuali dei dirigenti: l’esclusione di questa categoria di lavoratori dal divieto, infatti, potrebbe contrastare con i principi costituzionali di ragionevolezza ed eguaglianza. Sulla base di questo ragionamento la Corte di cassazione, con due ordinanze (15025/2024 e 15030/2024), ha investito la Consulta della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 46 del decreto legge 18/2020 (successivamente convertito in legge e più volte prorogato), nella parte in cui vietava i licenziamenti individuali «per giustificato motivo oggettivo» e quelli collettivi, per il periodo dell’emergenza sanitaria. La Cassazione analizza questa disciplina partendo da una considerazione: il divieto di licenziamento individuale (nonostante alcuni contrasti interpretativi della giurisprudenza di merito) non includeva i dirigenti, essendo delimitato solo ai recessi per «giustificato motivo oggettivo» (che non riguarda questa categoria di lavoratori), mentre il divieto di licenziamento collettivo si estendeva a tutti, inclusi i dirigenti. Una situazione che, secondo la Corte, ha generato un «difetto di simmetria», in virtù del quale il blocco dei licenziamenti dei dirigenti risultava applicabile solo nel caso di licenziamento collettivo, mentre non valeva in caso di licenziamento individuale per ragioni oggettive. Un difetto che, secondo la Cassazione, non è superabile interpretando il divieto di licenziamento individuale come una preclusione applicabile a tutte le motivazioni economiche dei licenziamenti, a prescindere dalla qualifica: questa lettura risulta inibita dal dato letterale della norma, che è assolutamente univoco nel fare riferimento alla legge 604/1966, la quale notoriamente non si applica ai dirigenti. Una volta interpretata in questo modo la norma, la Corte afferma che la disciplina in questione presenta una vera e propria lacuna, che non è possibile colmare neanche mediante applicazione analogica, in quanto il blocco dei licenziamenti rappresentava un’eccezione ai normali poteri datoriali e per le norme eccezionali non è ammissibile l’applicazione analogica (articolo 14 delle preleggi). La Corte rileva, inoltre, che non c’è differenza sostanziale tra il licenziamento individuale e collettivo, a parte la differente procedura da seguire, rispetto alla ratio di ordine pubblico che governava il divieto di licenziamento, introdotto per evitare, in via provvisoria, che le generalizzate conseguenze economiche della pandemia si traducessero nella soppressione immediata di posti di lavoro. Di fronte a questa ratio comune a tutti i lavoratori, conclude la Corte, non appare ragionevole, e potrebbe violare il principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, un regime di tutele asimmetrico, nel quale per alcuni dipendenti (i non dirigenti) la tutela è “globale”, mentre per altri (i dirigenti) è soltanto parziale. La parola passa, ora, alla Corte costituzionale, che potrebbe salvare la differenza di tutele contenuta nella norma oppure scegliere per un’estensione del divieto di licenziamento anche ai dirigenti, con un impatto rilevanti sui contenziosi pendenti.


Fonte: SOLE24ORE