Molestie sul posto di lavoro e licenziamento
- 10 Giugno 2024
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Con la sentenza 337/2024 la Corte d’Appello di Venezia ha accertato l’illegittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore assistito dallo studio per contestate molestie sessuali nei confronti di una addetta alla vigilanza della sede dove operava, alla quale venivano rivolte le seguenti frasi: “ Che provasse a mettersi nei panni di un uomo quando si trova davanti ad una donna con un décolleté così e che l’uomo si eccita di sicuro che… cos’è l’elezione per un uomo che se lei nasceva uomo potuto capire questo pensiero”. La Corte ha analizzato tali frasi, dette nell’ambito di un colloquio tra un uomo e una donna durante una pausa lavorativa, chiarendo che non integra molestia sessuale una frase allusiva all’inclinazione maschile ad eccitarsi alla vista del corpo maschile, non avendo la finalità di intimidire né offendere la personalità dell’interlocutrice, rimanendo nell’ambito di una vanteria, anche se volgare. I Giudici, valorizzando anche il fatto che gli apprezzamenti dell’uomo erano riferiti ad una donna terza (una cantante del festival di San Remo) rispetto all’interlocutrice, hanno chiarito che “non solo perché non diretta alla persona, va escluso il carattere offensivo, discriminatorio o intimidatorio, ma quello che deve connotare la condotta del molestatore è il carattere allusivo, strumentale e funzionale ad approcciare la persona, in definitiva l’emergere di una finalità che proprio alla lesione della personalità altrui mira”. Da ultimo i Giudici hanno ritenuto non integrare gli estremi della molestia la frase “ma tu sei bella quando indossi i top” facendo segno di una scollatura, dovendosi questa ritenere una battuta ed apprezzamento volgare che il clima confidenziale non autorizzava il lavoratore a rivolgere, ma che non integra quella nozione di molestia richiamata anche dalla normativa europea (direttiva 200/78 C). Il contenuto delle frasi, la loro occasionalità e l’assenza di apprezzabili conseguenze sul piano della personale, hanno portato quindi ad escludere la consumazione di molestia sessuale e ritenere, a differenza del giudice di primo grado, insussistente il fatto contestato con diritto alla reintegrazione del lavoratore e non solo al pagamento di un risarcimento.