Reintegra per trasferimento di sede non abbastanza motivato

Reintegra per trasferimento di sede non abbastanza motivato

  • 7 Aprile 2024
  • Pubblicazioni
Il trasferimento di sede deve essere sorretto da comprovate ragioni aziendali, secondo l’articolo 2103 del Codice civile, e il rifiuto di adempiervi da parte del lavoratore è meritevole di tutela se la condotta datoriale non è conforme a buona fede. Il tal caso, il licenziamento disciplinare adottato dal datore per non avere i dipendenti iniziato la prestazione nella sede di destinazione è illegittimo e comporta, anche per i nuovi assunti nel regime delle tutele crescenti, il rimedio della reintegrazione e il versamento di un’indennità risarcitoria in misura pari all’intervallo non lavorato, fino a un massimo di 12 mensilità. Per i dipendenti cui si applica la disciplina delle tutele crescenti introdotta dal Dlgs 23/2015, in presenza di licenziamento disciplinare la tutela reale è confinata ai casi in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale oggetto di contestazione. Ad avviso del Tribunale di Tivoli (sentenza 519/2024), quando il rifiuto di prendere servizio nella sede di destinazione costituisce espressione dell’eccezione di inadempimento in base all’articolo 1460 del Codice civile, si ricade in questa fattispecie di residuale applicazione della reintegrazione anche ai nuovi assunti. La norma del Codice prevede che, nell’ambito di contratti a prestazioni corrispettive, la parte non inadempiente possa rifiutare l’esecuzione della prestazione, se la controparte non adempie ai propri obblighi. Il giudice di Tivoli cala questa previsione nel contesto del rapporto di lavoro subordinato e afferma, in continuità con un indirizzo della giurisprudenza, che il lavoratore possa rifiutare di adempiere alla prestazione in presenza di un inadempimento datoriale di non scarsa importanza. La controversia aveva a oggetto il licenziamento per giusta causa adottato nei confronti di alcuni dipendenti che si erano rifiutati di recarsi nella nuova sede di lavoro, distante circa 400 km dalla precedente, con un preavviso di soli cinque giorni. Accertato che non sussistevano le ragioni aziendali dedotte per giustificare il trasferimento, il giudice ha ritenuto che i lavoratori, rifiutando la prestazione nella nuova sede, abbiano agito legittimamente in autotutela. Pertanto, non sussistevano i presupposti dell’assenza ingiustificata dal lavoro che il datore ha utilizzato a presidio della giusta causa dei licenziamenti. Ferma restando l’insindacabilità sull’opportunità dei trasferimenti, che ricade nella libertà di impresa, si osserva che, laddove non sussista il nesso causale tra le esigenze dedotte e il trasferimento dei lavoratori, la variazione del luogo di lavoro è illegittima. Se sono disponibili diverse opzioni sul piano organizzativo, inoltre, il datore è tenuto a preferire la soluzione meno gravosa per i lavoratori. Applicando questi principi, il Tribunale conclude che il trasferimento, per i tempi e la distanza, costituiva una iniziativa contraria ai canoni di buona fede, autorizzando i lavoratori a eccepire l’inadempimento e rifiutare la prestazione. Avendo i lavoratori agito in autotutela, mancavano i presupposti stessi dell’assenza ingiustificata e, per tale ragione, è stata disposta la reintegrazione. Anche per i lavoratori cui si applica il regime delle tutele crescenti, dunque, il licenziamento disposto dal datore a fronte di una legittima eccezione di inadempimento comporta, in aggiunta al risarcimento del danno calcolato in termini di mensilità della retribuzione, la reintegrazione nel posto di lavoro.


Fonte: SOLE24ORE