Danno alla professionalità con CIG illegittima

Danno alla professionalità con CIG illegittima

  • 17 Aprile 2024
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Al lavoratore collocato illegittimamente in cassa integrazione guadagni spetta, oltre all’eventuale risarcimento per le retribuzioni perse, il ristoro per il danno alla professionalità, da quantificare in via equitativa come una percentuale della retribuzione mensile netta percepita dal dipendente. La Corte di cassazione, con l’ordinanza 10267/2024, fa il punto sulle conseguenze applicabili nel caso di utilizzo illegittimo degli strumenti offerti dalla legislazione per gestire le crisi d’impresa. La controversia decisa dalla Suprema corte vedeva contrapposti una lavoratrice collocata in cassa integrazione guadagni e la sua azienda. Nel giudizio di merito era stata accertata l’illegittimità del provvedimento di sospensione dal lavoro (a causa della violazione dei criteri utilizzati per individuare i lavoratori da sospendere) e, come conseguenza di tale accertamento, era stato riconosciuto in appello il diritto, in via equitativa, a un risarcimento a titolo di danno alla professionalità pari al 30% della retribuzione mensile netta percepita dalla lavoratrice per tutto il periodo di illegittima sospensione in Cig. La Corte di cassazione ha convalidato tale decisione rilevando che, in presenza di adeguate allegazioni, non può essere negata l’esistenza del danno alla professionalità da inattività forzata. Il fatto di non aver potuto esercitare la propria prestazione professionale, secondo la sentenza, non lede solo l’immagine professionale, ma danneggia anche professionalmente il lavoratore, in quanto una inattività a lungo protratta nel tempo cagiona il depauperamento del suo patrimonio professionale. Un datore che sospende illegittimamente un dipendente non solo viola l’articolo 2103 del Codice civile (la norma che disciplina le mansioni del lavoratore) ma, secondo la Corte di cassazione, al tempo stesso lede il fondamentale diritto al lavoro, inteso soprattutto come mezzo di estrinsecazione della personalità di ciascun cittadino, nonché dell’immagine e della professionalità del dipendente. Profili che vengono mortificati dal mancato esercizio delle prestazioni tipiche della qualifica di appartenenza. Nel fare questo ragionamento, la Corte esclude che il danno da inattività per cassa integrazione sia differente da quello relativo all’inattività per svuotamento di mansioni o altri illeciti simili, che discende dalla violazione dell’articolo 2103 del Codice civile. La responsabilità del datore di lavoro che lasci inattivo il dipendente in violazioni di disposizioni di legge o contrattuali, secondo la sentenza è in ogni caso una conseguenza della violazione di norme che integrano il contratto di lavoro e, dunque, configura sempre una forma di responsabilità di natura contrattuale. Il danno alla professionalità, prosegue la sentenza, è diverso dalla mancata percezione della retribuzione per illegittima collocazione in cassa integrazione, essendo legato alla perdita della professionalità, dell’immagine professionale e della dignità lavorativa, mentre l’altro tipo di danno è di natura esclusivamente patrimoniale e deriva dalla mancata corresponsione e percezione della retribuzione. Ai fini della dell’esistenza e della prova - anche presuntiva - del danno alla professionalità, la Corte ricorda che si può fare leva su elementi indiziari gravi, precisi e concordanti quali la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione.


Fonte: SOLE24ORE