Infortuni, la negligenza del lavoratore non salva l’azienda

Infortuni, la negligenza del lavoratore non salva l’azienda

  • 16 Aprile 2024
  • Pubblicazioni
In tema di infortuni sul lavoro, la negligenza del lavoratore nell’adempiere alle prescrizioni della normativa antinfortunistica potrebbe non essere sufficiente a esimere da responsabilità il datore di lavoro nel caso di lesioni causate da un incidente cui il lavoratore stesso abbia contribuito col suo comportamento. Scritta così l’affermazione potrebbe sembrare un po’ controintuitiva: se il dipendente non ha seguito le istruzioni, ponendo in essere un comportamento irresponsabile, perché mai l’impresa dovrebbe esserne responsabile? Eppure la giurisprudenza sembra seguire, seppure con diverse sfumature, questa linea di ragionamento, come dimostra la sentenza della Corte di cassazione 12326/2024 del 26 marzo che ha confermato la condanna a carico del datore di lavoro per un incidente mortale occorso a un dipendente, nonostante quest’ultimo avesse violato le direttive ricevute eseguendo attività espressamente vietate. La Corte, infatti, ha affermato che, qualora l’evento sia riconducibile alla violazione da parte dell’imprenditore «di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall’area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia in quanto l’inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio». Anzi, la Suprema corte ha precisato che, perché si possa considerare il comportamento negligente, imprudente e imperito da parte del lavoratore («pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate») come «concretizzazione di un rischio eccentrico, con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia predisposto anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente». La condotta del lavoratore deve essere insomma particolarmente sconsiderata perché essa venga ritenuta un’esimente della responsabilità datoriale. Infatti, l’imprenditore dovrebbe aver previsto ed essere in grado di conoscere pure la possibile distrazione o imperizia del dipendente (le cosiddette “prassi elusive seguite dai lavoratori”) nell’approntare le misure di sicurezza: avrebbe dovuto cioè essere super previdente. Non solo: avrebbe dovuto vigilare per impedire l’instaurazione di prassi contra legem foriere di pericoli per i lavoratori. Anche la giurisprudenza precedente parla difatti di comportamenti abnormi e al di fuori delle mansioni assegnate al lavoratore, imprevedibili, qualcosa cioè di «radicalmente ed ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e quindi prevedibili imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro». Addirittura, in presenza di violazioni della materia infortunistica da parte del datore (nel caso specifico, mancanza di formazione, assenza di strumenti di salvaguardia o di un secondo lavoratore che assistesse il primo) è irrilevante pure che il dipendente abbia violato le direttive concretamente «impartite se il comportamento non sia stato abnorme e che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento». La sentenza si segnala per la sovrabbondante reiterazione di caratterizzazioni del contegno del lavoratore affinché esso sia ritenuto responsabile dell’infortunio occorsogli. Per ricondurre tale tassonomia a categorie civilistiche generali, si può dire che sul datore di lavoro grava un obbligo di diligenza rafforzata, tipica dell’attività imprenditoriale, tale che l’approntamento mero delle cautele potrebbe non essere sufficiente se non ci si accerti anche del loro concreto rispetto da parte del lavoratore e non si preveda la possibilità di un suo comportamento negligente. Il dipendente, invece, interrompe il nesso causale tra responsabilità del datore ed evento dannoso se agisce con colpa grave da intendersi straordinaria, ravvisabile nella condotta di colui che agisce con inescusabile imprudenza, compiendo un errore grossolano e non scusabile e, relativamente alla normativa antiinfortunistica, imprevedibile, abnorme e al di fuori delle mansioni. Da un punto di vista di analisi economica del diritto, tale suddivisione di responsabilità è economicamente efficiente nel senso che sposta la responsabilità del danno su chi è più in grado di prevenirlo e ha maggior conoscenza dei possibili rischi, ossia l’imprenditore, sebbene sia desiderabile prevedere altresì un certo livello di concorso di colpa per non deresponsabilizzare completamente il dipendente. Nel clima di particolare attenzione che nel Paese si registra sulla questione degli infortuni sul lavoro è probabile che l’allocazione della responsabilità al datore di lavoro sia una tendenza destinata a crescere e sarà perciò bene che di ciò le imprese ne tengano sempre più conto.


Fonte:SOLE24ORE