La reperibilità in sede nell’orario di lavoro

La reperibilità in sede nell’orario di lavoro

  • 28 Novembre 2023
  • Pubblicazioni
Il periodo di reperibilità e le ore di guardia non costituiscono una categoria intermedia che si differenzia rispetto all’orario di lavoro, da una parte, e al tempo di riposo, d’altra parte. La nozione di orario di lavoro adottata dalla normativa europea e nazionale si contrappone a quella del periodo di riposo e tra le due categorie non è previsto lo spazio per una fattispecie autonoma intermedia di «reperibilità» o «servizio di guardia» in cui il lavoratore, a prescindere dallo svolgimento effettivo della prestazione, rimane a immediata disposizione del datore di lavoro. In continuità con gli approdi della giurisprudenza dell’Unione Europea, per la quale «il tempo del lavoratore è lavoro o è riposo», il trattamento della «reperibilità» si inquadra nel rapporto dicotomico tra orario di lavoro e periodo di riposo, nel senso che all’una o all’altra categoria dovrà essere ascritto l’intervallo temporale in cui il lavoratore, pur non essendo impegnato nell’esercizio dell’attività lavorativa, è a disposizione del datore di lavoro.  Sulla scorta di questi principi la Cassazione (sentenza 32418/2023 del 22 novembre scorso) ha respinto la decisione della Corte d’appello di Napoli per cui i periodi di reperibilità con pernottamento presso la sede di lavoro si qualificano in termini di disagio e non di orario di lavoro, osservando che al tempo di lavoro si può unicamente contrapporre quello dedicato al riposo. È nella dicotomia tra orario di lavoro e periodi di riposo che va inquadrata la verifica sulla riconducibilità dei periodi di reperibilità o servizio di guardia all’una o all’altra categoria. Se le limitazioni cui il lavoratore è sottoposto durante la reperibilità impediscono di gestire liberamente il tempo libero, la conclusione cui perviene la Corte di legittimità è che si ricade nell’orario di lavoro. Viceversa, se il servizio di «pronta disponibilità» non impedisce al lavoratore di curare i propri interessi personali e sociali, la conclusione è quella opposta per cui si rientra nel periodo di riposo. Il caso sottoposto alla Cassazione si riferiva alla domanda di un gruppo di vigili del fuoco che rivendicavano il pagamento come ore di lavoro straordinario dei pernottamenti sul posto di lavoro allo scopo di garantire il pronto intervento in caso di incendio. Nei due gradi di merito la domanda era stata respinta, ritenendosi che il pernottamento non era assimilabile all’orario di lavoro, integrando, invece, una condizione di disagio correttamente compensata attraverso il versamento di una indennità economica. Non è dello stesso avviso la Suprema Corte, che esclude di poter qualificare la reperibilità notturna con pernottamento sul posto di lavoro come mero disagio. La fattispecie doveva essere inquadrata nell’orario di lavoro in considerazione del fatto che, per quanto non fossero impegnati nell’esercizio della prestazione, il pernottamento in azienda impediva ai vigili del fuoco di attendere alle esigenze personali e sociali che sono connotato intrinseco del periodo di riposo. La reperibilità è orario di lavoro, dunque, e da essa discendo corrispondenti obbligazioni sul piano retributivo, se i vincoli imposti al lavoratore durante il servizio di guardia comprimono in modo significativo la gestione del tempo libero. La Cassazione aggiunge, tuttavia, che alla retribuzione del periodo di reperibilità le parti possono provvedere attraverso istituti che non siano necessariamente coincidenti con la maggiorazione per lo straordinario, laddove mediante accordo collettivo sia stato adottato un diverso meccanismo di remunerazione. È un passaggio interessante, che conferma gli ampi spazi di cui gode la contrattazione aziendale anche per la gestione della reperibilità.


Fonte:SOLE24ORE