Licenziamento illegittimo senza prova del repêchage

Licenziamento illegittimo senza prova del repêchage

  • 20 Novembre 2023
  • Pubblicazioni
Non basta un calo dell’attività per giustificare un licenziamento per GMO, essendo fondamentale anche assolvere all’onere di repêchage. Lo afferma la Cassazione nella pronuncia del 30 ottobre 2023 n. 4004, che conferma come debbano necessariamente coesistere i 3 requisiti richiesti per il GMO: la soppressione del posto di lavoro, il nesso causale e l’impossibilità di repêchage. La Corte ricorda, infatti, come gli elementi costitutivi del giustificato motivo oggettivo, ovverosia le ragioni organizzative, il nesso causale tra dette ragioni e la soppressione del posto e la dimostrazione della impossibilità del repêchage, devono necessariamente e tutte coesistere. Una lavoratrice con le mansioni di assistente tutelare dipendente di una casa di cura veniva licenziata per giustificato motivo oggettivo, in conseguenza della contrazione dell'attività dell'associazione che gestiva la struttura. La contrazione dell'attività risultava da prova documentale (prospetto statistico relativo alla media degli ospiti presenti in struttura) fornita dal datore di lavoro. Tale documentazione forniva piena prova della progressiva riduzione nel corso del tempo dell'afflusso di anziani presenti nella casa di riposo, tenuto conto degli standard organizzativi prescritti dalla convenzione, che richiedeva un ausiliario ai servizi tutelari per 15 utenti per due turni. Il Tribunale di prime cure accoglieva il ricorso proposto per impugnativa di licenziamento dal lavoratore, ma la pronuncia veniva riformata in appello sull'assunto che la contrazione dell'attività era confermata da prova documentale. A nulla rilavava, ad avviso della Corte d'Appello, la circostanza dell'impiego stabile, nella funzione di assistente tutelare, di personale della cooperativa cui erano stati esternalizzati solo i servizi di pulizia, trattandosi di un modus operandi in atto già da prima del licenziamento. La Corte di Cassazione cassava la sentenza confermando alcuni fondamentali principi in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Il giustificato motivo oggettivo è composto dai seguenti tre elementi fondamentali e la carenza anche soltanto di uno di questi elementi (o di più di uno) determina l'illegittimità del licenziamento:
- la soppressione del posto di lavoro in forza di una ragione organizzativa;
- il nesso causale tra la ragione addotta e la soppressione del posto del lavoratore licenziato;
- la dimostrazione, a carico del datore di lavoro, della impossibilità del repêchage, e cioè di una proficua riutilizzazione del lavoratore in mansioni corrispondenti al proprio livello di inquadramento contrattuale o anche a mansioni inferiori tenendo in considerazione, peraltro, non tutti compiti astrattamente attribuibili al dipendente ma solo quelli coerenti con il proprio bagaglio tecnico professionale. Con particolare riferimento all'onere di repechage la Suprema Corte ha categoricamente escluso la possibilità di ritenerlo implicito nella circostanza della contrazione dell'attività benché pienamente provata. Ai fini della legittimità del recesso, infatti, è necessario un accertamento in concreto dell'organico presente in azienda all'epoca del licenziamento, e non già la conformità a degli standard astratti e della impossibilità di una utile ricollocazione del lavoratore in mansioni, anche inferiori, confacenti con il suo bagaglio professionale. Non è sufficiente prendere in esame, infatti, il numero degli utenti e degli addetti standard, ma le unità lavorative presenti in azienda. Parimenti non rileva la circostanza che la lavoratrice non avesse indicato l'esistenza di una posizione lavorativa disponibile, restando escluso, per costante giurisprudenza, qualsivoglia onere di allegazione e prova in capo al lavoratore (Cass. n. 24882/2017). La pronuncia veniva censurata anche sull'assunto che la medesima posizione di assistente tutelare coperta dalla lavoratrice veniva assegnata a soggetti dipendenti di una cooperativa privi del relativo titolo professionale e il cui oggetto di appalto fosse un servizio diverso (servizi di pulizie), benché si trattasse di un modus operandi già in atto da prima del licenziamento. Invero, tale ultima circostanza non consentiva di confermare l'effettiva esistenza della ragione addotta sul piano organizzativo (contrazione dell'attività, che va stimata in relazione alla forza lavoro concretamente impiegata) e del nesso causale fra le ragioni organizzative e la soppressione del posto occupato dalla lavoratrice, nel rispetto dei criteri di scelta da operarsi alla luce dei principi di correttezza e buona fede (Cass. n. 31652/2018). La pronuncia appare degna di nota per aver chiaramente e brevemente rammentato i requisiti che devono caratterizzare l'esistenza del GMO e, in particolare, il ruolo cardine del repêchage nelle sue modalità operative da valutarsi rispetto alla situazione del personale concretamente e realmente presente in azienda. Invero tale requisito del GMO, ove non assolto, o persino non allegato o provato, genererebbe una pronuncia di illegittimità del recesso. Peraltro, preventivamente al licenziamento, un'attenta valutazione circa l'esistenza di posizioni che potrebbero essere ricoperte dal lavoratore in questione, consentirebbe anche una più agevole verifica dell'esistenza del nesso causale fra le ragioni obiettive che portano al licenziamento (quali, ad esempio, il calo di attività) e la necessità di licenziare uno specifico dipendente in luogo di altri.

Fonte:QUOTIDIANO PIU' - GFL