La Cassazione con l’ordinanza n. 30427 del 2 novembre 2023 si è pronunciata sui presupposti che devono sussistere affinché il licenziamento disciplinare del lavoratore sia legittimo. In particolare, viene ribadito che il licenziamento deve basarsi su un giustificato motivo soggettivo, cioè su una mancanza così grave da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario. Il licenziamento disciplinare è la sanzione più grave che il datore di lavoro può infliggere al lavoratore in caso di inadempimenti contrattuali da parte di quest'ultimo. Affinché sia legittimo, il licenziamento deve basarsi su un giustificato motivo soggettivo, ossia una mancanza così grave da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro. Inoltre, la sanzione deve essere proporzionata all'infrazione. Il licenziamento disciplinare può essere di due tipi: per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. Il primo si verifica quando il lavoratore commette una violazione così grave da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro, come ad esempio il furto, la violenza o l'insubordinazione. Il secondo si verifica quando il lavoratore commette una violazione meno grave ma comunque tale da incidere negativamente sul rapporto di fiducia con il datore di lavoro, come ad esempio il ritardo, l'assenteismo o lo scarso rendimento. In entrambi i casi, il datore di lavoro deve seguire una procedura che prevede la contestazione dei fatti, la possibilità di difesa del lavoratore e la comunicazione scritta del licenziamento. Il caso esaminato dalla Cassazione La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 30427 del 2023, si è recentemente pronunciata su un caso di licenziamento disciplinare di un lavoratore con ruolo di responsabilità, accusato dal datore di lavoro di vari inadempimenti contrattuali. Il dipendente aveva impugnato il provvedimento disciplinare davanti al Tribunale, sostenendone l'illegittimità. In primo grado il giudice gli aveva dato ragione, ritenendo insufficienti le motivazioni addotte dal datore di lavoro e annullando il licenziamento, con ordine di reintegrazione immediata nel posto di lavoro e con il pagamento di un'indennità risarcitoria. La società aveva proposto appello contro tale decisione. La Corte d'Appello aveva riformato la sentenza di primo grado, giudicando legittimo il licenziamento, sebbene riducendo l'entità del risarcimento per il lavoratore. È contro questa pronuncia che il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione, dando origine al contenzioso deciso dai giudici di legittimità. La Corte di Cassazione ha ribadito il principio che, se il contratto collettivo applicabile prevede una sanzione conservativa per una specifica infrazione, il datore di lavoro non può infliggere direttamente il licenziamento per quella violazione, a meno che non si tratti di un inadempimento così grave da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario. La Suprema Corte, pertanto, pur confermando nel complesso la legittimità del licenziamento comminato al lavoratore, ha effettuato un distinguo rispetto alla Corte d'Appello. I Giudici di legittimità hanno infatti precisato che, se singolarmente considerate, le infrazioni contestate al lavoratore avrebbero meritato solo sanzioni conservative, in base al contratto collettivo. Tuttavia, valutando globalmente la condotta del lavoratore, date le sue mansioni di responsabilità, la gravità complessiva è stata ritenuta tale da giustificare l'estrema sanzione del licenziamento. Inoltre la Corte di Cassazione ha puntualizzato che la generica manifestazione di insoddisfazione al dipendente non può integrare autonomamente una sanzione disciplinare. Si tratta di una motivazione più precisa e articolata, che pur confermando nel complesso l'esito del giudizio d'appello, si discosta parzialmente nella ratio decidendi, fornendo importanti criteri di valutazione per casi analoghi. Corretta qualificazione dei fatti La Corte di Cassazione ha posto l'accento sulla necessità di una corretta qualificazione dei fatti commessi dal lavoratore, ai fini della loro riconducibilità o meno a sanzioni disciplinari. In particolare, i giudici di legittimità hanno evidenziato come una generica manifestazione di insoddisfazione del datore di lavoro circa l'operato del dipendente non possa automaticamente tradursi in una sanzione disciplinare vera e propria. Tale insoddisfazione può infatti rientrare nell'ambito della normale dialettica che caratterizza un rapporto di lavoro, senza assurgere necessariamente a illecito disciplinarmente rilevante. Ciò che rileva, ai fini dell'irrogazione di una sanzione, è piuttosto l'effettiva gravità dei comportamenti concretamente posti in essere dal lavoratore, come ad esempio la violazione di precise disposizioni contrattuali o regolamentari. Solo quando tali comportamenti integrino oggettivamente fattispecie specifiche previste dalle norme disciplinari applicabili (quali, ad esempio, l'inosservanza di direttive aziendali), essi potranno legittimamente tradursi in sanzioni conservative o, nei casi più gravi, in un licenziamento. Pertanto, la Suprema Corte richiama l'attenzione sulla necessità di una rigorosa ricostruzione del fatto storico e di una puntuale qualificazione giuridica della fattispecie, per stabilire se si configuri un inadempimento disciplinarmente rilevante. Solo così è possibile una corretta applicazione delle norme che regolano i provvedimenti disciplinari nel rapporto di lavoro. Le conclusioni della Cassazione nelle conclusioni della sentenza, la Corte di Cassazione ha operato un accurato bilanciamento tra l'interesse del lavoratore alla continuità del rapporto di lavoro e il potere disciplinare del datore di lavoro, stabilendo alcuni principi chiave. In primo luogo, la Suprema Corte ha rigettato sia il ricorso principale del lavoratore, che ne chiedeva la reintegrazione, sia quello incidentale dell'azienda, che ne rivendicava la piena legittimità del licenziamento. In secondo luogo, ha ribadito che, anche di fronte a violazioni minori che singolarmente comporterebbero solo sanzioni conservative, il giudice può valutare complessivamente la condotta del dipendente e ritenere giustificato il licenziamento disciplinare, se ravvisa un venir meno irrimediabile del rapporto fiduciario. La Corte ha però sottolineato la necessità di rispettare quanto previsto dai contratti collettivi in tema di sanzioni conservative, prima di giungere alla drastica misura del licenziamento. La pronuncia appare dunque bilanciata nel valorizzare il potere discrezionale del giudice di valutare la gravità complessiva delle condotte in rapporto alla concreta posizione lavorativa e nel bilanciare gli interessi del lavoratore e dell'azienda, garantendo che le sanzioni disciplinari siano proporzionate rispetto alle mancanze accertate. Si tratta di un delicato equilibrio tra i contrapposti interessi delle parti, indispensabile per assicurare giustizia ed evitare decisioni drastiche e potenzialmente ingiuste come il licenziamento senza un'adeguata giustificazione.
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL