Non validi dimissioni e recessi senza procedura
- 6 Novembre 2023
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Con ordinanza 27331/2023, la Corte di cassazione ha stabilito il principio secondo cui, in base all’articolo 26 del decreto legislativo 151/2015, il rapporto di lavoro subordinato può essere risolto per dimissioni o per accordo consensuale delle parti solamente previa adozione di specifiche modalità formali oppure presso le sedi assistite, a pena di inefficacia dell’atto. Nel caso sottoposto alla Suprema corte il lavoratore aveva ricondotto la cessazione del rapporto di lavoro a un illegittimo licenziamento orale. L’azienda aveva contestato tale prospettazione, rilevando che era stato il lavoratore a dimettersi, ancorché senza l’osservanza della forma scritta. La Corte d’appello aveva applicato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui vige, nel nostro ordinamento, un principio di libertà di forma del recesso del lavoratore, derivante direttamente dall’articolo 2118 del Codice civile, per cui – a fronte della intervenuta cessazione del rapporto di lavoro – il lavoratore che agisca per l’accertamento di un licenziamento orale dovrebbe, secondo i principi generali in materia di onere probatorio, dimostrarne l’esistenza; prova che nel caso di specie non è stata fornita, con conseguente infondatezza della sua pretesa. Secondo la Cassazione, invece, quell’orientamento non era più applicabile in quanto, nella fattispecie, la cessazione del rapporto era intervenuta dopo l’entrata in vigore dell’articolo 26 Dlgs 151/2015, che impone specifiche modalità per le dimissioni e la risoluzione del rapporto di lavoro. Infatti, per effetto di questa disposizione vige, nell’attuale ordinamento, una tipicità di forma delle dimissioni e della risoluzione consensuale, che impedisce una valida estinzione del rapporto di lavoro realizzata con modalità diverse. Il principio stabilito dalla Cassazione assume particolare rilevanza in tutti i casi in cui risulti incerta la riconducibilità della cessazione del rapporto di lavoro alla volontà del dipendente o del datore di lavoro, rispettivamente per dimissioni o licenziamento orali. In tali casi, infatti, il datore di lavoro non potrà addurre che il rapporto si è interrotto per volontà del lavoratore, essendo prescritte rigide formalità per rassegnare le dimissioni. Conseguentemente, per avere certezza in ordine alla cessazione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro dovrà formalmente intimare il licenziamento, seppure questo costituisca talora l’obiettivo dei dipendenti per accedere alla Naspi (cui altrimenti non avrebbero accesso). In questi casi, peraltro, il datore di lavoro dovrà farsi carico anche del costo del ticket di licenziamento. Inoltre, secondo la Corte, il principio di tipicità delle forme si applica anche alla risoluzione consensuale, il cui effetto presuppone l’osservanza delle modalità previste dall’articolo 26 del Dlgs 151/2015. Resta quindi da chiarire se tale principio determinerà il definitivo superamento anche dell’orientamento che ammetteva, sulla base di precisi e stringenti presupposti, la risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso. Infatti, tra le modalità indicate dall’articolo 26 non rientra la volontà, manifestata per fatti concludenti, di non dare più seguito al contratto di lavoro, che costituisce il presupposto della risoluzione per mutuo consenso.
Fonte: SOLE24ORE