Scarso rendimento: quando è legittimo il licenziamento

Scarso rendimento: quando è legittimo il licenziamento

  • 11 Ottobre 2023
  • Pubblicazioni
Lo scarso rendimento negligente può giustificare il licenziamento del dipendente qualora ricorrano determinate condizioni che consentano di misurare oggettivamente la gravità dell’inadempimento. La giurisprudenza, però, ha subordinato la legittimità di questo recesso al ricorrere di determinati limiti e condizioni, non sempre facili da dimostrare nel corso di un giudizio. Nel nostro ordinamento, il licenziamento per scarso rendimento costituisce un'ipotesi di recesso per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, per questo riconducibile alla fattispecie del giustificato motivo soggettivo. La giurisprudenza ne riconosce in modo ormai unanime la natura ontologicamente disciplinare; ne consegue, pertanto, che il recesso per scarso rendimento deve sempre essere preceduto dall'avvio di un procedimento disciplinare nelle modalità e nei termini previsti dall'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori (tuttavia si ritiene che non sia necessaria la previa affissione del codice disciplinare, e ciò in quanto il dovere di diligenza rientra nel “minimo etico” normalmente esigibile da un lavoratore; Cass. 14 luglio 2023 n. 20284). Secondo la giurisprudenza di legittimità, è possibile risolvere un rapporto di lavoro per scarso rendimento solo laddove si sia in presenza di una evidente violazione del dovere di diligente collaborazione dovuto dal dipendente; a tal fine, però, non è sufficiente il mancato raggiungimento di un obiettivo (in quanto altrimenti verrebbe addossato al lavoratore il rischio d'impresa) ma è necessario che emerga una evidente sproporzione tra gli standard produttivi ragionevolmente esigibili da un dipendente dotato di media diligenza e quanto in concreto realizzato dal lavoratore (tra le tante, Cass. 27 aprile 2023 n. 11174). In altri termini, prima di valutare la possibilità di intimare un licenziamento per scarso rendimento, il datore di lavoro deve poter disporre di parametri oggettivi (es. tempi o standard medi di produzione, ecc.) su cui misurare la correttezza dell'adempimento del lavoratore; questi dati, possibilmente, devono essere ricavati tenendo conto della produttività media fatta registrare dal reparto di riferimento. Secondo la giurisprudenza, infatti, “ove siano individuabili dei parametri per accertare che la prestazione sia eseguita con la diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, il discostamento dai detti parametri può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione” (Cass. 8 maggio 2018, n. 10963; nello stesso senso, cfr. Tribunale di Pisa, 5 giugno 2017; cfr. ancora Cass. 6 aprile 2023 n. 9453; si veda anche Appello Milano, 26 maggio 2023 n. 577). La giurisprudenza ha pure precisato che lo scarso rendimento non può essere desunto dall'eccessiva morbilità del lavoratore: questo perché il disservizio aziendale derivanti dall'elevato numero di assenze del lavoratore non può mai legittimare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, se non all'esito del superamento del periodo massimo di comporto (Cass. 7 dicembre 2018, n.31763; Appello Palermo 1° marzo 2021 n. 233; contra, Trib. Milano 15 dicembre 2015 n. 3426, che ha ammesso la possibilità di attribuire rilievo alla malattia nella misura in cui le assenze, anche se incolpevoli, possano aver e inciso negativamente sulla produzione aziendale al punto da rendere non più utile il mantenimento in organico del dipendente). Uno degli aspetti più delicati connessi alla tenuta giudiziale dei licenziamenti per scarso rendimento è quello relativo al riparto dell'onere della prova. Secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente, la prova dello scarso rendimento negligente può essere fornita anche solo “per presunzioni”; in un caso, ad esempio, la Corte di Cassazione ha ritenuto raggiunta la prova della negligenza sulla base di un complesso univoco di elementi presuntivi, consistenti nel fatto che altri due produttori operanti nella medesima zona avevano raggiunto e superato gli obiettivi annuali, che la lavoratrice licenziata (addetta all'acquisizione di polizze assicurative), quando veniva affiancata nelle visite ai possibili clienti da altro collega, aveva raggiunto gli obiettivi prefissati e che ella effettuava visite a potenziali clienti solo nel suo comune di residenza (Cass. 3 maggio 2003, n. 6747). In altra circostanza, è stato ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente addetto alla produzione di “pallets” che, nel tempo, aveva reso una prestazione sensibilmente inferiore a quella fatta registrare dai suoi colleghi e comunque inferiore ai tempi standard di produzione in uso presso l'azienda; nell'occasione, il Giudice ha evidenziato che i tempi standard di produzione, costituendo una regola che il datore di lavoro può legittimamente imporre avvalendosi dei poteri organizzativi di cui all'art. 41 Cost., “ben possono assurgere a parametro per soppesare la prestazione del lavoratore e, in particolare, per misurare lo sforzo dello stesso nell'adempimento dell'obbligazione” (Trib. Cremona, 6 agosto 2019 n. 1082). In sostanza, l'onere probatorio che grava sul datore di lavoro è duplice. Da un lato, è necessario dimostrare che il mancato raggiungimento degli obiettivi derivi da un inadempimento degli obblighi contrattuali; dall'altro, deve essere provata l'enorme sproporzione tra gli standard medi di produzione (tenendo conto anche della media delle prestazioni di tutti i dipendenti adibiti al medesimo incarico) e quanto effettivamente realizzato dal dipendente nel periodo di riferimento. Una volta che il datore di lavoro ha fornito la prova di questi elementi, graverà sul dipendente l'onere di dimostrare l'eventuale sussistenza di circostanze esimenti che possano in qualche modo giustificare il suo inadempimento (Cass.  29 marzo 2016 n. 6052). Estremamente discussa è la possibilità di attribuire rilevanza ai precedenti disciplinari ovvero a singoli episodi di negligenza di cui il dipendente si sia reso responsabile nel corso della sua esperienza lavorativa. Sul punto, le più recenti sentenze sembrano avere assunto un atteggiamento eccessivamente rigoroso, negando la possibilità di dimostrare lo scarso rendimento negligente attraverso il richiamo ai precedenti disciplinari, in quanto ciò costituirebbe una “indiretta sostanziale duplicazione degli effetti di condotte ormai esaurite” con conseguente violazione del ne bis in idem (Cass. 19 gennaio 2023 n. 1584; Cass. 23 marzo 2017 n. 7522).
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL