Reato di maltrattamenti anche se il licenziamento è legittimo
- 6 Ottobre 2023
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Il reato di maltrattamenti verso il lavoratore può sussistere anche quando ci sono atti formalmente validi – come un licenziamento – in quanto la semplice regolarità formale di un atto come il recesso dal rapporto di lavoro non basta a escludere che sussistano condotte che integrano il reato.
Con questa motivazione la Cassazione (sentenza penale 38306/2023) ha annullato la sentenza della Corte d’appello di Perugia, che aveva concluso una vicenda molto conflittuale. La titolare di un negozio di parrucchiera era stata condannata in primo grado per il reato di maltrattamenti fisici e morali verso una dipendente, aggravati dalla condizione di gravidanza della lavoratrice. La decisione di primo grado si fondava sulla ricostruzione della lavoratrice, che aveva denunciato di aver subito diversi insulti collegati al suo aspetto fisico dalla datrice di lavoro, per avere dovuto svolgere lavori gravosi e umilianti ed essere stata destinataria di insulti e bestemmie in presenza di clienti e colleghe. Al culmine di questa situazione, la dipendente era stata seguita da un investigatore privato di fiducia della datrice di lavoro, il quale aveva appurato che, durante il periodo di congedo per maternità, la stessa lavorava per una parrucchiera concorrente. Sulla base di questa investigazione la lavoratrice era licenziata con provvedimento successivamente dichiarato legittimo dal competente Tribunale del lavoro. La sentenza di assoluzione veniva ribaltata in sede di appello, dove la Corte territoriale escludeva la sussistenza di prove certe circa la commissione del reato e, per minare la credibilità della persona offesa, dava rilievo al fatto che il suo licenziamento era stato dichiarato valido da un Tribunale. Le denunce della dipendente, secondo la Corte, erano una reazione al legittimo licenziamento, e come tali non andavano considerate credibili. La Cassazione ribalta di nuovo questa decisione, rilevando che l'assoluzione della datrice di lavoro fosse fondata su un ragionamento non corretto. In particolare, oltre a far notare la carenza di motivazione circa la valutazione delle diverse fonti di prova, la Corte rileva l'illogica sottovalutazione operata dalla Corte circa le dichiarazioni della persona offesa, in quanto il riconoscimento della legittimità del licenziamento per giusta causa non era sufficiente a farla ritenere inattendibile. La dipendente, secondo la Cassazione, non può essere ritenuta poco attendibile – e quindi la sua denuncia non può essere sminuita come meramente strumentale - per il solo fatto che il licenziamento era stato dichiarato legittimo perché, per costante giurisprudenza della Cassazione, la condotta vessatoria che integra il mobbing non può essere esclusa sulla base della formale legittimità delle iniziative disciplinari assunte verso i dipendenti (tra le molte, Cassazione 28553 del 18 marzo 2009). Le condotte poste alla base del licenziamento incidono nel rapporto tra le parti e restano confinate, secondo la Corte, solo nella loro relazione privata. Invece, il delitto di maltrattamenti, nella sua accezione di mobbing verticale, opera su un piano diverso: è un illecito penale di mera condotta, perseguibile d'ufficio, che si consuma con la prevaricazione abituale del datore di lavoro verso il dipendente. Sulla base di questa motivazione la Cassazione annulla la sentenza di assoluzione e rinvia alla Corte territoriale per una nuova decisione.
Fonte: SOLE24ORE