L’assoluzione può rendere il licenziamento illegittimo

L’assoluzione può rendere il licenziamento illegittimo

  • 4 Ottobre 2023
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Tra i fondamentali requisiti di una contestazione disciplinare vi è quello della necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione, da cui discende il divieto, in capo al datore di lavoro, di intimare un licenziamento sulla base di circostanze ulteriori - e diverse - rispetto a quelle cristallizzate nella lettera di contestazione, e ciò in ragione dell’esigenza di tutela del diritto di difesa del lavoratore, che risulterebbe pregiudicato qualora il datore di lavoro, nel corso del giudizio, allegasse «circostanze nuove che […] implicano una diversa valutazione dei fatti addebitati […]». Lo ha ribadito la Corte di cassazione, con ordinanza 26042/2023 del 7 settembre scorso, in relazione a una fattispecie in cui un lavoratore era stato licenziato per i reati di falso e furto di carburante (probabilmente oggetto del rinvio a giudizio); sennonché, il lavoratore licenziato veniva poi assolto nel relativo processo penale per non aver commesso il fatto. La Corte di merito, confermando la sentenza di primo grado e parimenti valorizzando il giudicato penale assolutorio per i fatti oggetto di contestazione disciplinare, aveva respinto il reclamo della società contro l’annullamento del licenziamento; la decisione veniva impugnata dalla società innanzi alla Corte di legittimità sul presupposto, da un lato, dell’insussistenza, nel caso di specie, dei requisiti richiesti dalle norme penali in tema di efficacia della sentenza penale nel giudizio civile (non trattandosi, nello specifico, di giudizio civile promosso dal danneggiato per le restituzioni o il risarcimento del danno, e non essendo stata la sentenza penale di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento) e, dall’altro, dell’omesso esame di taluni e ulteriori fatti tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario con il lavoratore licenziato. La Cassazione, pur riconoscendo, con riferimento al primo ordine di censure, gli errori in diritto evidenziati nel ricorso, ha ritenuto che il dispositivo della sentenza impugnata fosse comunque conforme a diritto. E ciò, ha chiarito la Suprema Corte, in ragione del fatto che, pur in assenza dei requisiti suddetti in tema di efficacia nel giudizio civile del giudizio assolutorio penale, la sentenza di assoluzione - «mancando una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi prova» - è comunque qualificabile «come prova atipica dell’insussistenza dell’addebito disciplinare rientrante nel perimetro della parallela imputazione penale» e, pertanto, può essere legittimamente posta dal giudice a base del proprio convincimento, «se ed in quanto non smentita dal raffronto critico» (Cassazione 9507/2023), «ai fini della valutazione della condotta del lavoratore e della prova della giusta causa del licenziamento». Infondata è, infine, conclude la Corte, l’asserita omessa valutazione di «omissioni» e «violazioni» esterne alla contestazione disciplinare, e ciò in ragione del principio già ricordato di immutabilità di quest’ultima che impedisce al datore di lavoro di ampliare, nel corso del giudizio, il perimetro dell’addebito.

Fonte: SOLE24ORE