Patto di prova nullo. Tutele crescenti reintegro impossibile

Patto di prova nullo. Tutele crescenti reintegro impossibile

  • 15 Settembre 2023
  • Pubblicazioni
Nei rapporti di lavoro regolati dalle tutele crescenti il licenziamento intimato a fronte di un patto di prova nullo comporta unicamente la tutela indennitaria e non c’è spazio per il rimedio della reintegrazione in servizio. Non è lo stesso per i rapporti di lavoro cui si applica la disciplina dell’articolo 18 dei Statuto dei lavoratori, posto che in questo caso, se il licenziamento accede a un patto di prova nullo, alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento si collega l’ordine della reintegrazione in servizio. La Cassazione (sentenza 20239/2023) osserva che a impedire l’assimilazione delle due fattispecie soccorre il rilievo «decisivo» per cui nei licenziamenti soggetti al regime delle tutele crescenti la reintegrazione ha «carattere solo residuale», laddove nel riformato articolo 18 questo rimedio, seppur depotenziato, ha mantenuto una sua centralità. In entrambe le situazioni l’interruzione datoriale del rapporto di lavoro si qualifica come licenziamento individuale ad nutum, rispetto al quale non sussistono i presupposti della giusta causa e del giustificato motivo (soggettivo o oggettivo) di licenziamento. Tuttavia, mentre per i vecchi assunti (cui si applica l’articolo 18) sopravvive il rimedio della reintegrazione tanto in mancanza di giusta causa che di giustificato motivo soggettivo o oggettivo, altrettanto non è rispetto ai nuovi assunti (cui si applica il Dlgs 23/2015 sulle tutele crescenti). La Cassazione rimarca, in questo senso, che la riforma della disciplina dei licenziamenti introdotta con il Jobs Act ha circoscritto il rimedio della tutela reale al solo ambito del licenziamento disciplinare, quando è dimostrata l’insussistenza del fatto materiale oggetto di contestazione al lavoratore. Rispetto ai licenziamenti economici non vi sono, invece, alternative al meccanismo della tutela indennitaria crescente in funzione di specifici parametri, tra cui spicca l’anzianità di servizio. Non è lo stesso con l’articolo 18, perché anche dopo la riforma della legge 92/2012 il meccanismo della reintegrazione sopravvive (seppur attenuato) in entrambe le fattispecie del licenziamento disciplinare e del licenziamento oggettivo, in caso di «insussistenza del fatto» alla base del recesso datoriale. Su questa distinzione riposa la decisione della Corte di legittimità di non ritenere le due situazioni assimilabili quanto alla tutela (indennitaria o reale) applicabile, perché con riferimento al licenziamento in prova dei nuovi assunti si pone inevitabilmente un problema (insuperabile) di «inquadramento del vizio da cui è affetto il recesso». Lo stesso tema non si pone evidentemente per i licenziamenti che ricadono nella sfera dell’articolo 18, dove la reintegrazione è un rimedio applicabile in ambedue le fattispecie (giustificato motivo soggettivo e oggettivo). Per questa ragione, considerando l’ambito residuale assegnato alla reintegrazione nell’impianto normativo delineato dal Jobs Act, ai licenziamenti intimati nell’area delle tutele crescenti sul presupposto di un patto di prova nullo si applica esclusivamente il rimedio indennitario economico. Vi sono, del resto, altre fattispecie connotate da maggiore gravità, prima tra tutte l’assenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, rispetto alle quali la Cassazione ritiene «distonico» prevedere il reintegro per il licenziamento illegittimo a fronte della nullità del patto di prova.


Fonte: SOLE24ORE