Nel caso in esame la Corte d'appello territorialmente competente, riformando parzialmente la pronuncia di primo grado, dichiarava illegittimo il contratto di lavoro intermittente stipulato tra una società ed un lavoratore e sussistente, per il medesimo periodo, un contratto di lavoro a tempo determinato full time. Nello specifico, la Corte distrettuale, interpretando l'art. 13 D.Lgs. 81/2015, riteneva quali elementi costitutivi concorrenti del contratto di lavoro intermittente sia il requisito oggettivo della discontinuità dell'attività sia quello soggettivo dell'età. Rilevata la ricorrenza dell'elemento oggettivo e la mancanza di quello soggettivo, decideva così per la sua illegittimità. Non solo. La Corte riteneva ricorrenti gli elementi costitutivi del contratto a tempo determinato, sussistendo la ragione giustificatrice dell'apposizione del termine (rientrando, l'attività svolta dalla società, nell'ambito delle attività di carattere discontinuo), e rilevava che la sua scadenza aveva determinato la naturale cessazione del rapporto per cui non sussisteva alcun licenziamento. La società decideva, pertanto, di ricorrere in cassazione, affidandosi ad un motivo, a cui resisteva il lavoratore con controricorso e proponendo ricorso incidentale. La Procura generale presentava conclusioni scritte, chiedendo l'accoglimento del ricorso principale e l'inammissibilità di quello incidentale. Ai sensi dell'art. 13, comma 1, del D.Lgs. 81/2015 “il contratto di lavoro intermittente è il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno. In mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”. Al secondo comma il medesimo articolo precisa che esso può, in ogni caso, essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni. In ogni caso, con l'eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente - continua l'articolo in questione al comma 3 - è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell'arco di 3 anni solari. In caso di superamento di tale periodo il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. Nei periodi in cui non ne viene utilizzata la prestazione, si precisa al comma 5, il lavoratore intermittente non matura alcun trattamento economico e normativo, salvo che abbia garantito al datore di lavoro la propria disponibilità a rispondere alle chiamate, nel qual caso gli spetta l'indennità di disponibilità. Si segnala per completezza che il successivo art. 15 (vigente all'epoca dei fatti di causa e poi modificato dal D.Lgs. 104/2022, peraltro non nelle parti qui riportate, ossia nella lett. a)) e rubricato “Forma e comunicazione” così recitava: “Il contratto di lavoro intermittente è stipulato in forma scritta ai fini della prova dei seguenti elementi: a) durata e ipotesi, oggettive o soggettive, che consentono la stipulazione del contratto a norma dell'articolo 13; b) luogo e modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore, e del relativo preavviso di chiamata del lavoratore, che non può essere inferiore a un giorno lavorativo; c) trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e relativa indennità di disponibilità, ove prevista; d) forme e modalità, con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l'esecuzione della prestazione di lavoro, nonché modalità di rilevazione della prestazione; e) tempi e modalità di pagamento della retribuzione e della indennità di disponibilità; f) misure di sicurezza necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto". La Corte di Cassazione, partendo dall'esame dell'art. 13 del D.lgs. 81/2015, ha dedotto che le due condizioni, oggettive e soggettive, legittimanti la stipulazione del contratto di lavoro intermittente sono disgiunte e non necessariamente concorrenti. Ad avviso della Corte di Cassazione:
il comma 1 fornisce la definizione dell'istituto e prevede – senza alcun cenno ai limiti di età – le “esigenze” ed i “casi” in cui è consentito utilizzarlo e
il comma 2 dispone che “in ogni caso” è consentito utilizzarlo con i soggetti che al momento dell'instaurazione del rapporto hanno meno di 24 anni e fino a che ne compiono 25 o con soggetti che hanno oltre 55 anni.
L'espressione “in ogni caso” di cui al comma 2 evoca i “casi”, cioè le esigenze ex comma 1 ed è letteralmente interpretabile come “in qualunque caso”, “qualunque sia l'esigenza”, a prescindere, cioè, dalla sussistenza di specifici casi ed esigenze. Ciò permette la stipula del contratto di lavoro intermittente con soggetti che hanno meno di 24 anni e fino a che ne compiono 25 e più di 55 anni. Peraltro, l'espressione “in ogni caso” (che aggiunge il presupposto dell'età) è preceduta dal verbo ausiliare “può” il cui uso indica, chiaramente, che il requisito non è previsto quale elemento costitutivo del contratto. L'espressione utilizzata rende evidente che il legislatore ha inteso aggiungere una ulteriore ipotesi di lavoro intermittente, caratterizzata in via esclusiva dal requisito anagrafico del lavoratore. Ad avviso della Corte di Cassazione, da un punto di vista dell'interpretazione letterale, va anche sottolineato che l'art. 15 D.Lgs. 81/2015 prevede, tra i vari elementi che consentono la sua stipulazione, “durata e ipotesi, oggettive o soggettive”, facendo chiari riferimenti a due diverse ipotesi di lavoro intermittente, ossia quello giustificato da requisiti oggettivi (le attività discontinue) o da requisiti soggettivi (l'età del lavoratore). Detta interpretazione, ha evidenziato la Corte di Cassazione, è stata fatta propria anche dalla CGUE (sentenza 19 luglio 2017, in C-143/2016), secondo la quale l'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea nonché gli artt. 2, par. 1, 2, par. 2, lett. a), e 6, par. 1, della Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000 non ostano ad una normativa nazionale che autorizza un datore di lavoro “a concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire”, e a licenziarlo al compimento del venticinquesimo anno. In considerazione di tutto quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale, con cassazione della sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha rigettato il ricorso introduttivo del giudizio proposto dal lavoratore. Il ricorso incidentale è stato assorbito e le spese del giudizio compensate.
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL