Licenziamenti collettivi: i lavoratori interessati

Licenziamenti collettivi: i lavoratori interessati

  • 29 Agosto 2023
  • Pubblicazioni
Le aziende che avviano una procedura di licenziamento collettivo, per regola generale, nell'individuare i lavoratori da licenziare devono avere riguardo all'intero complesso aziendale, come precisato dall'articolo 5 della legge 223/1991. Secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ferma tale regola, in presenza di esigenze tecnico-produttive oggettive è tuttavia possibile limitare la platea dei lavoratori interessati dal recesso a coloro che sono addetti a un certo reparto, settore o sede territoriale.  Per la Corte di cassazione (sezione lavoro 22232/2023), tale limitazione è in ogni caso subordinata anche alla coerenza tra le esigenze tecnico-produttive addotte alla sua base e le indicazioni contenute nella comunicazione preventiva da farsi per legge alle rappresentanze sindacali aziendali e alle associazioni di categoria, oltre che alla prova, da parte del datore di lavoro, del fatto che giustifica la restrizione dell'ambito nel quale è stata effettuata la scelta dei dipendenti. Più nel dettaglio, il datore di lavoro, per circoscrivere la platea dei lavoratori da licenziare a una determinata unità produttiva, deve indicare nella comunicazione ai sindacati sia le ragioni che limitino il licenziamento, sia quelle per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento a unità produttive vicine, in maniera tale da consentire di valutare la necessità effettiva dei recessi. Se non vi provvede, i licenziamenti sono illegittimi per violazione dell'obbligo di indicazione specifica delle esigenze aziendali oggettive. In proposito, la Corte di cassazione – in più occasioni e anche nell'ultima pronuncia in commento – ha affermato che, ai fini dell'esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità che sono addetti a unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, non assume alcun rilievo il fatto che per mantenere in servizio un lavoratore che appartiene alla sede soppressa sarebbe necessario trasferirlo in altra sede, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di aggravio di costi e interferenze sull'assetto organizzativo. Del resto, in primo luogo non può escludersi che il lavoratore preferisca essere diversamente dislocato piuttosto che perdere il posto di lavoro e, inoltre, la necessità di assicurare che le ristrutturazioni delle imprese abbiano il minor impatto sociale possibile non permette di attribuire rilevanza a tal fine alla sopravvenienza di costi aggiuntivi per trasferire il personale o dislocare diversamente le sedi. Venendo alle conseguenze, se il progetto di ristrutturazione si riferisce a più unità produttive ma il datore di lavoro individua i lavoratori da collocare in mobilità limitandosi a considerare l'appartenenza territoriale, ci si trova di fronte, per i giudici, a una violazione dei criteri di scelta, che – secondo un orientamento unanime della Corte di cassazione – determina l'applicazione della tutela reintegratoria.


Fonte: SOLE24ORE