Le condotte extra-lavorative non possono giustificare il licenziamento disciplinare del lavoratore, qualora tali fatti non abbiano rilevanza giuridica nel contesto aziendale per non essere stata provata l'attitudine oggettiva della condotta extra-lavorativa ad incidere sul corretto svolgimento della prestazione lavorativa. Tale ipotesi integra la fattispecie della “insussistenza del fatto”, con applicazione in favore del lavoratore della tutela reintegratoria ai sensi dell'art. 18, comma 4, L. 300/1970. È questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 22077 del 24 luglio 2023. Il caso di specie. Il lavoratore, dipendente della società datrice di lavoro da quasi un trentennio, era stato licenziato all'esito di un procedimento disciplinare, avviato a seguito di una denunzia per asseriti maltrattamenti, ingiurie e lesioni personali sporta dalla convivente del lavoratore e del successivo provvedimento cautelare adottato dal GIP, dal quale erano emersi plurimi e abituali atteggiamenti oltraggiosi, prevaricatori e violenti nei confronti della convivente e della ex moglie. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento per giusta causa intimato dalla società datrice di lavoro chiedendone l'annullamento e la reintegrazione in servizio, oltre al pagamento di un indennizzo risarcitorio commisurato alle retribuzioni perse dalla data di licenziamento fino a quella di effettiva reintegrazione in servizio e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali maturati. Il Tribunale di Cassino aveva rigettato, sia nella fase sommaria del c.d. Rito Fornero, sia nella fase a cognizione piena, il ricorso proposto dal lavoratore ritenendo legittimo il licenziamento irrogato dalla società datrice di lavoro fondato su fatti extra-lavorativi. La Corte d'Appello ha, invece, ribaltato la decisione del giudice di primo grado, evidenziando che la verifica del “fatto illecito” debba essere rapportata al disvalore sociale oggettivo del fatto commesso nel contesto del mondo dell'azienda, attesa la non perfetta sovrapponibilità tra sistema penale e sistema disciplinare. In altri termini, occorre verificare se la condotta extra-lavorativa, pur caratterizzata da gravità tale da elidere in astratto il vincolo fiduciario, abbia in concreto assunto una specifica rilevanza disciplinare. Secondo il giudice del gravame, la società datrice di lavoro non ha fornito prova dell'incidenza dei comportamenti extra-lavorativi tenuti dal lavoratore sul contesto aziendale. Al contrario, la Corte d'appello ha accertato che le condotte tenute dal ricorrente non avevano avuto alcun riflesso sull'ambiente lavorativo e, quindi, sul rapporto di lavoro, sia in considerazione della mancanza di una eco mediatica sui fatti accaduti, sia tenuto conto delle mansioni meramente esecutive svolte dal lavoratore. È stata, altresì, valorizzata la mancanza di precedenti comportamenti aggressivi e violenti contestati dalla società al lavoratore per l'intera prolungata durata del rapporto di lavoro. Sulla base di tali argomentazioni, la Corte d'Appello di Roma ha annullato il licenziamento disciplinare e ha condannato la società datrice di lavoro a reintegrare il lavoratore in servizio, nonché a corrispondergli un'indennità risarcitoria nella misura massima pari a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Avverso tale provvedimento, la società ha proposto ricorso per cassazione. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione impugnata, ribadendo il principio per cui in tema di licenziamento disciplinare, qualora il grave nocumento morale e materiale sia parte integrante della fattispecie prevista come “giusta causa” di recesso, occorre accertarne la relativa sussistenza e la sua attitudine ad integrare un elemento costitutivo che osta alla prosecuzione del rapporto di lavoro. In mancanza di tale accertamento, la condotta extra-lavorativa del dipendente non può di per sé giustificare la giusta causa di licenziamento. È ben possibile che condotte extra-lavorative possano integrare una giusta causa di licenziamento. Tuttavia, osserva la Suprema Corte, è necessario che tali condotte extra-lavorative abbiano un impatto oggettivo, anche solo potenziale, sulla funzionalità del rapporto e sulla valutazione rispetto al futuro puntuale adempimento dell'obbligazione lavorativa. In mancanza di qualsivoglia elemento che possa far temere condotte violente o minacciose sul luogo di lavoro, nonché di elementi a supporto di un'asserita incompatibilità tra il lavoratore, le mansioni svolte e l'ambiente lavorativo, le condotte extra-lavorative, pur se accertate e deprecabili, non sono in grado di incidere sul rapporto di lavoro, neppure in via indiretta e non possono giustificare il licenziamento per motivi disciplinari. Sotto altro profilo, la Corte conferma che l'ipotesi di “insussistenza del fatto”, che giustifica l'applicazione della tutela reintegratoria di cui all'art. 18, comma 4, L. 300/1970, ricorre non solo in caso di “inesistenza” del fatto materiale, ma anche in caso di esistenza del fatto materiale privo del carattere di illiceità. A tale ultimo proposito, seppure sia stato provato il reale accadimento dei fatti, il carattere “neutro” della condotta extra-lavorativa rispetto al rapporto di lavoro legittima l'applicazione della tutela reintegratoria in favore del lavoratore.
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL