Espressioni denigranti e ingiuriose oltre la critica

Espressioni denigranti e ingiuriose oltre la critica

  • 29 Agosto 2023
  • Pubblicazioni
Il limite all’esercizio del diritto di critica deve intendersi superato quando l’agente trascenda in attacchi personali diretti a colpire sul piano individuale la figura del soggetto criticato, senza alcuna finalità di pubblico interesse. Con la sentenza 27930/2023, la Cassazione ha pronunciato questo interessante principio in materia di diffamazione. Nel caso di specie, la Corte d’appello confermava la condanna di un soggetto per il reato di diffamazione a mezzo stampa, previsto e punito dall’articolo 595, comma 3, del Codice penale, integrato dalla diffusione, tramite un post su facebook, di espressioni denigranti e frasi ingiuriose nei confronti della persona offesa. Nei confronti della sentenza veniva proposto ricorso per Cassazione in quanto sarebbero state usate effettivamente espressioni forti, rivolte a una generalità di persone, ma pur sempre entro i limiti del diritto di critica. Tale diritto, tutelato dall’articolo 21 della Costituzione, consente la libertà d’espressione purchè questa non superi i limiti dell’offensività dell’altrui reputazione. Secondo la Corte di legittimità, l’esercizio di questo diritto, in questo caso, lungi dal rimanere nell’ambito di una critica misurata e obiettiva, sprofonda nel campo dell’aggressione alla sfera morale altrui, penalmente protetta. Ciò che determina l’abuso del diritto è la gratuità delle aggressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione: l’unico obiettivo, infatti, sembra essere quello di screditare il destinatario delle espressioni utilizzate mediante l’evocazione di una sua pretesa indegnità o inadeguatezza personale. Chi adopera questo tipo di argomenti non può invocare in suo favore il diritto di critica, in quanto tende a «degradare il confronto di idee e di progetti a uno scontro personale tra pregiudizi alimentati dalle contumelie, sottraendo ai destinatari del messaggio ogni possibilità di serena e civile partecipazione ad esso». E dunque, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente - e come correttamente affermato dalla Corte territoriale - il soggetto leso dalle esternazioni insultanti è individuato espressamente e apostrofato con parole inaccettabili. I giudici di legittimità hanno poi concluso affermando che non «si è trattato solamente di isolate parolacce o provocazioni, ma di inequivoche, rozze espressioni volte a screditare, con diretta incidenza sulla sua reputazione, l’attività professionale ed istituzionale della persona offesa», definita in modo sprezzante, con ciò avvilendone il ruolo a quello di un mero e servile esecutore dei comandi dei detentori del potere, subordinato al soddisfacimento di interessi personali, a costo di tradire la propria libertà di coscienza.

Fonte: IL SOLE 24ORE