Appalti, ammessi contratti di lavoro equivalenti
- 21 Luglio 2023
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Dal 1° luglio le stazioni appaltanti devono indicare, nei bandi pubblici, il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto. Si tratta del contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto svolta dall’impresa anche in maniera prevalente.Questi sono i nuovi principi alla base dell’applicazione del nuovo codice appalti contenuti nell’articolo 11 del Dlgs 36/2023. Recependo una costante giurisprudenza in materia, il comma 2 dell’articolo 11 stabilisce che, nei bandi e negli inviti, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti «indicano» il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto o nella concessione. Quindi il passo in più che chiede il nuovo codice appalti è proprio quello di indicare il contratto collettivo di riferimento. Ma in merito a questo nuovo obbligo molte stazioni appaltanti si stanno interrogando sulle modalità applicative, anche in considerazione della eterogeneità degli appalti (e dei Ccnl esistenti) che vengono svolti nel nostro Paese. In attesa che l’Anac fornisca le sue linee guida, è possibile individuare alcune azioni che possono essere adottare e che vanno nella direzione tracciata del legislatore. Per l’individuazione del Ccnl di riferimento, un utile strumento a disposizione è l’archivio del Cnel che identifica i 14 settori tracciati dall’autonomia collettiva, a loro volta suddivisi in circa 100 categorie (o sotto settori). Per ciascuna di essa è possibile identificare uno o più Ccnl di riferimento. Il problema (molto diffuso) nasce quando nel settore ci sono una pluralità di Ccnl. In questi casi il codice stabilisce che il contratto di riferimento è quello comparativamente più rappresentativo. Consolidata giurisprudenza ha sostenuto negli anni che tale requisito si concretizza in relazione agli iscritti alle parti firmatarie, alla diffusione territoriale di esse e al numero dei contratti collettivi nazionali sottoscritti. Tuttavia, agli addetti ai lavori sono note le difficoltà per reperire le informazioni descritte: una strada alternativa potrebbe essere quella di fare riferimento alle tabelle di costo del lavoro elaborate periodicamente dal ministero del Lavoro a norma dell’articolo 41, comma 13 del Codice. Di fatto sono tabelle realizzate con il criterio dei Ccnl comparativamente più rappresentativi del settore e quindi un autorevole riferimento per rispettare i parametri previsti dall’articolo 11. È probabile che in alcuni settori ci sia una pluralità di contratti collettivi sottoscritti dalle medesime organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, ma con associazioni datoriali diverse (ad esempio nel commercio). In questo caso è ragionevole ritenere che tutti i Ccnl presenti possano soddisfare i principi dell’articolo 11. Nel rispetto dell’articolo 39 della Costituzione, l’articolo 11, comma 3, del Codice prevede che gli operatori economici possano indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo applicato, purché garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante, rilasciando una dichiarazione di equivalenza. Su questo punto l’Ispettorato nazionale del lavoro ha fornito utili indicazioni nella circolare 2/2020 che potrebbero essere adottate anche a questi fini. Pertanto, sul piano economico è necessario accertare l’equivalenza della retribuzione tabellare annuale, dell’Edr, delle mensilità aggiuntive e probabilmente anche degli scatti di anzianità. Da un punto di vista normativo va verificata la previsione del lavoro straordinario e supplementare, dei permessi, malattia e altri istituti simili.
Fonte: SOLE 24 ORE