La critica nello scritto difensivo non è causa di licenziamento
- 21 Luglio 2023
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Secondo la Corte di cassazione (sentenza 19621/2023), anche i dipendenti possono esercitare il diritto di critica, ma, nel farlo, devono rispettare i limiti della continenza formale. In caso contrario, il loro comportamento diviene idoneo a determinare una lesione definitiva della fiducia che deve necessariamente riporre in loro il datore di lavoro e, di conseguenza, a integrare una giusta causa di licenziamento. Posto tale principio, in caso di contestazione, il compito di verificare in concreto il superamento o meno del limite della continenza (e di quello della pertinenza) spetta al giudice del merito, che è tenuto a valutare la liceità della critica eventualmente rivolta dal dipendente al datore di lavoro ricostruendo esattamente la vicenda storica, enucleando i fatti rilevanti, motivando il rispetto dei limiti in relazione a ciascuno di essi e specificando il percorso logico seguito nel giudizio. In ogni caso, in base a quanto affermato dalla Cassazione, non può essere mai considerato una giusta causa di licenziamento l'utilizzo, da parte del lavoratore, di espressioni sconvenienti e offensive del datore di lavoro all'interno di una memoria difensiva depositata per resistere in giudizio. Quest'ultima, infatti, è un documento giudiziario con il quale si esercita il diritto di difesa, che, in quanto tale, determina l'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'articolo 598 del Codice penale, che esime da conseguenze le offese contenute in scritti presentati davanti all'autorità giudiziaria e che concernono l'oggetto della causa. Si tratta, più in generale, dell'applicazione dell'articolo 51 del Codice penale, che prevede la scriminante dell'esercizio di un diritto o adempimento di un dovere. Se, insomma, il contesto è uno scritto difensivo, il lavoratore non deve temere il licenziamento se offende il datore di lavoro, anche attribuendogli fatti non necessariamente rispondenti al vero, ma che comunque riguardino direttamente e in maniera immediata l'oggetto della controversia. Tuttavia, come precisato dai giudici, l'esimente in questione non può estendersi sino alle espressioni calunniose, il cui unico fine è quello di diffondere notizie idonee a screditare il datore di lavoro e che non hanno nulla a che vedere con l'esercizio del diritto di difesa.
Fonte: SOLE 24 ORE