Disabile e licenziamento per comporto

Disabile e licenziamento per comporto

  • 3 Luglio 2023
  • Pubblicazioni
Una lavoratrice, dichiarata invalida ai sensi dell'art. 3, c. 1, Legge 104/92 con riduzione permanente della sua capacità lavorativa, veniva licenziata per superamento del periodo di comporto. La stessa impugnava giudizialmente il licenziamento, eccependo che era qualificabile alla stregua di discriminazione indiretta per la sua condizione di inabilità e contestando, in considerazione delle assenze casualmente correlate alla sua infermità, di aver superato il periodo di comporto. Il Tribunale di Milano investito della causa, innanzitutto, ha ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, prendendo le mosse dalla Direttiva 2000/78/CE. Sul punto, il Tribunale secondo la quale una limitazione per rientrare nella nozione di “handicap” deve essere probabile che sia di lunga durata ed abbia l'attitudine ad incidere od ostacolare la vita professionale per un lungo periodo (cfr. Corte di Giustizia, Navas vs Eurest Colectivadades SA, C – 13/05; Corte di Giustizia, HK Danmark vs. Danks almennyttigt Boligselkab e Dansk Arbejdsgiverforening, cause riunite C -335/11 e C 337/11). In questo contesto il legislatore nazionale con il D.Lgs. 216/2003 ha statuito che l'eventuale computo delle assenze per malattia connesse alla specifica condizione di disabilità costituisce discriminazione indiretta poiché “una prassi o un comportamento apparentemente neutro” che “mette le persone portatrici di handicap in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone” (art. 2, comma 1, lett. B). Equiparare la condizione del lavoratore invalido con quella del lavoratore non disabile ma affetto da malattia porterebbe, infatti, a regolare nel medesimo modo due situazioni radicalmente e sostanzialmente differenti, violando il principio di uguaglianza sostanziale e, prima ancora, dando luogo a una discriminazione indiretta. Il lavoratore portatore di handicap è, infatti, costretto ad un numero di assenze di gran lunga superiore rispetto al lavoratore che limita le proprie assenze a casi di contingenti patologie che hanno durata breve o comunque limitata nel tempo. È per tali soggetti che il tempo di comporto è previsto e, proprio una interpretazione della norma collettiva rispettosa della Direttiva 2000/78, del D.Lgs. 216/2003 e della sentenza della Corte di Giustizia, deve far escludere dal computo del termine per il comporto i periodi di assenza che trovano origine diretta nella patologia causa dell'handicap. In altri termini, il portatore di handicap aggiunge, ai normali periodi di malattia che subisce per cause diverse dall'handicap, quelli direttamente collegate a queste ultime. La parità di trattamento esige che solo con riferimento alle prime i lavoratori portatori di handicap e tutti gli altri siano sottoposti al limite temporale del comporto. In sostanza, la maggior parte delle assenze poste a base del licenziamento deriva dalla patologia invalidante che affligge la lavoratrice, non potendo che concludersi per la discriminatorietà del loro computo ai fini della maturazione del comporto. In considerazione di tutto quanto sopra esposto, il Tribunale ha condannato, ai sensi dell'art. 2 D.Lgs. 23/2015, la società datrice di lavoro alla reintegrazione immediata della lavoratrice nel posto di lavoro ed al pagamento in suo favore dell'indennità risarcitoria nella misura di € 366,76 dal giorno del licenziamento sino a quello della reintegra, oltre interessi e rivalutazione dalla maturazione al saldo.

Fonte: Quotidiano Più