Dirigente: svuotamento di mansioni
- 14 Giugno 2023
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La qualifica di dirigente spetta solo al prestatore di lavoro che, quale alter ego dell'imprenditore, gode di maggiore autonomia e responsabilità rispetto alle altre categorie professionali, con poteri di iniziativa e discrezionalità che incontrano il proprio limite nell'osservanza di direttive programmatiche aziendali (Cass. 29 ottobre 2020, n.23927). Per tali ragioni, il rapporto di lavoro dirigenziale – contraddistinto da una subordinazione che la giurisprudenza definisce “attenuata” – è caratterizzato da un più pregnante vincolo fiduciario, che si traduce soprattutto nella diversa tutela legale offerta dal nostro ordinamento in tema di risoluzione del rapporto di lavoro. Per la categoria dirigenziale, infatti, vige un differente (e meno garantista) regime giuridico imperniato sul criterio della libera recedibilità di cui all'art. 2118 c.c. – con obbligo del rispetto del periodo di preavviso, salvo ipotesi di giusta causa – mitigato solamente dalla contrattazione collettiva attraverso la previsione di forme di tutela indennitaria e risarcitoria in caso di “ingiustificatezza” del recesso datoriale. In ragione di ciò, la disciplina limitativa del potere di licenziamento - prevista dalle Legge 604/66 e Legge 300/70 a tutela del lavoratore subordinato, quale parte contrattualmente più debole - non trova applicazione nei confronti dei dirigenti convenzionali (quelli cioè da ritenere tali alla stregua delle declaratorie del contratto collettivo applicabile), siano essi “apicali” o “minori” (quali dirigenti non collocati in una posizione di immediata subordinazione nei confronti del datore di lavoro, ma rispondenti ad altri dirigenti di livello superiore), con la sola eccezione del c.d. “pseudo-dirigente”. Tale figura professionale - di matrice giurisprudenziale - ricomprende quei lavoratori che, nonostante siano formalmente assunti con qualifica di dirigente, di fatto, vengono adibiti a mansioni – siano esse di quadro o di impiegato direttivo - caratterizzate da un minor grado di autonomia e minor potere decisionale, non riconducibili in alcun modo alla declaratoria contrattuale di dirigente (ex multis Cass. n. 23894/2018; Cass. n. 27199/2018). Proprio sulla base di tale discordanza sul piano formale e sostanziale, un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale riconduce il profilo dello “pseudo-dirigente” all'ordinaria disciplina legale in materia di licenziamento, applicando le medesime limitazioni previste in materia dalla Legge 604/1966 (giustificato motivo oggettivo e soggettivo) e dall'art. 2119 cod. civ. (giusta causa), unitamente agli strumenti di tutela concepiti per qualsiasi lavoratore subordinato nell'ipotesi di procedimento disciplinare di cui all'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori. Grava, dunque, sul lavoratore che voglia usufruire del più favorevole regime giuridico del licenziamento, l'onere di provare il concreto adempimento di mansioni tipiche di categorie professionali inferiori, in spregio all'apparente investitura del nomen di dirigente. La Sentenza della Cassazione 8 giugno 2023, n. 16208, nel confermare le precedenti pronunce giurisprudenziali definitorie del profilo dello “pseudo-dirigente”, si sofferma in particolar modo sul momento di concretizzazione dell'anomalia di un rapporto di lavoro (solo “sulla carta”) dirigenziale, quale elemento discretivo della figura dello “pseudo-dirigente” rispetto al diverso fenomeno del demansionamento.