Violazione della policy aziendale e licenziamento

Violazione della policy aziendale e licenziamento

  • 28 Aprile 2023
  • Pubblicazioni
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 2589 del 14 marzo 2023, ha dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un dipendente per aver tenuto una condotta contraria alla policy aziendale contenuta nel Codice etico e nel Codice di comportamento aziendali. Il Tribunale preliminarmente osserva che ai sensi dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori “le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano”. Orbene, l’affissione del codice disciplinare è una forma di pubblicità condizionante il legittimo esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro il cui adempimento deve essere dal medesimo provato. Detta modalità, che non ammette equipollenti, ha la funzione di assicurare la conoscibilità legale della normativa disciplinare. In sostanza, “come il lavoratore non può invocare la ignoranza delle norme disciplinari regolarmente affisse, così il datore di lavoro, ove sia mancata la regolare affissione delle stesse norme, non può utilmente sostenere che il lavoratore ne fosse altrimenti a conoscenza”. Ciò detto, il Tribunale ritiene priva di pregio l’eccezione formulata dal lavoratore circa la mancata affissione del codice disciplinare nei luoghi di lavoro, essendo stato provato in giudizio che vi è stata data idonea pubblicità, mediante la sua pubblicazione nei locali aziendali e sul sito internet della società (unitamente a tutta la documentazione e all’estratto del CCNL) senza dimenticare che lui stesso ne aveva preso visione all’atto dell’assunzione. Il Tribunale prende poi posizione sulla doglianza del lavoratore circa l’inutilizzabilità delle conversazioni a mezzo “WhatsApp” intrattenute con la collega per violazione del principio di riservatezza della corrispondenza privata ex art. 15 della Cost e della normativa in materia di protezione dei dati personali. Sul punto, il Tribunale non ravvede alcuna violazione, prevalendo, per giurisprudenza costante, l’esercizio di diritto di difesa sulle esigenze di riservatezza, purché i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro conseguimento (cfr. Cass. 19531/2021; Cass. 33809/2021). Secondo il Tribunale, la società non ha acquisito le informazioni private tra i due dipendenti in maniera arbitraria o in esercizio del potere di controllo vietato dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, trattandosi, peraltro, di conversazioni prodottele direttamente dalla collega del lavoratore.  Il Tribunale, passa a verificare nel merito la legittimità del licenziamento intimato al lavoratore, partendo proprio dall’art. 2119 c.c. Articolo, secondo il quale “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto (…) senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. (…)”. Pertanto, per valutare la legittimità del licenziamento disciplinare occorre, innanzitutto, verificare la sussistenza dell’addebito mosso nei confronti del dipendente. Nel caso di specie, il Codice di comportamento aziendale sancisce il divieto di relazioni tra i dipendenti addetti alla medesima unità. Divieto questo, rispondente all’esigenza di garantire l’imparzialità e la trasparenza delle scelte lavorative adottate dai dipendenti, nonché la serenità dell’ambiente lavorativo. A ciò aggiungasi che, ai sensi del Codice etico, ciascun destinatario (ivi incluso ciascun dipendente) è tenuto ad “evitare tutte le situazioni e tutte le attività in cui si possa manifestare un conflitto di interesse con gli interessi della Società o che possano interferire con la propria capacità di assumere, in modo imparziale, decisioni nel migliore interesse della Società e nel pieno rispetto (…) di tutte le direttive e procedure aziendali”. È indubbio per il Tribunale che il lavoratore abbia violato il divieto di relazioni tra dipendenti alla medesima unità, essendo pacifico che entrambi facevano parte del medesimo gruppo di lavoro.