Rsu sanzionato per intervista: condotta antisindacale

Rsu sanzionato per intervista: condotta antisindacale

  • 16 Aprile 2023
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Il caso trae origine dal procedimento disciplinare azionato da una società nei confronti di un proprio dipendente, componente della RSU, al cui esito gli era stata inflitta la sanzione disciplinare di un giorno di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per aver rilasciato un'intervista. Intervista, durante la quale il dipendente aveva dichiarato che lui stesso e i suoi colleghi, addetti ai rimorchiatori, erano in stato di agitazione per via dell'orario di lavoro, divenuto sempre più pesante. Nello specifico, il dipendente, nel corso dell'intervista, aveva denunciato che erano tenuti ad osservare in genere turni di lavoro di 12 ore che, contando lo straordinario, arrivavano anche a superare le 14 ore consentite. Inoltre, il lavoratore aveva dichiarato quanto segue: “il nostro datore di lavoro sostiene che le pause fra un servizio e l'altro non vanno considerate lavoro effettivo, ma non è così: quando sei di turno sei comunque a disposizione, non è che puoi gestire il tempo a tuo piacere o rilassarti. Chiediamo perciò orari meno pesanti”. Il sindacato, a fronte della sanzione comminata al dipendente, aveva adito l'autorità giudiziaria affinché venisse dichiarata, ai sensi dell'art. 28 della Legge n. 300/1970 (c.d. Statuto dei Lavoratori), antisindacale la condotta tenuta dalla società. E nella fase di merito la sanzione disciplinare veniva giudicata frutto proprio di condotta antisindacale, per cui la società si rivolgeva alla Corte di Cassazione per la riforma della decisione, affidandosi a due motivi. Con il primo motivo la società si lamentava che il giudice del gravame avesse emesso una motivazione priva di un reale contenuto argomentativo così sottraendosi all'obbligo di dare risposta alle doglianze sollevate con l'atto di appello. Con il secondo motivo la società eccepiva che il giudice in questione avesse omesso di considerare che la stessa nell'infliggere la sanzione disciplinare al lavoratore, non aveva limitato né leso interessi collettivi dell'organizzazione sindacale cui il medesimo aderiva. Ciò in quanto non aveva inteso censurare l'intervista rilasciata, ovvero la divulgazione dell'esistenza di un contrasto sindacale tra le parti, ma solo contestare esserle stato attribuito pubblicamente un illecito, in realtà inesistente (ovvero che l'azienda avrebbe imposto ai propri dipendenti di lavorare oltre 14 ore al giorno), con conseguente lesione dell'immagine aziendale. La Corte di Cassazione (con l'ordinanza n. 7676 del 16 marzo 2023) investita della causa, nel confermare la pronuncia di merito, ha osservato che, dalla semplice lettura dell'intervista, emerge il carattere “assolutamente compassato dell'intervistato (ndr il lavoratore) e la veridicità intrinseca dei fatti riportati”. Ciò si individua “nella comprovata esistenza e risalenza di una controversia tra le parti sociali in merito all'interpretazione del Contratto collettivo aziendale, con riguardo alla computabilità o meno nel monte orario consentito delle “pause di servizio” e non nella bontà o meno nel merito dell'interpretazione di parte, come iterativamente prospettato dalla Società”. Inoltre, ad avviso della Corte di Cassazione, non è ammissibile, per quanto di precipuo interesse, l'eccezione sollevata dalla società circa la mancata lesione dell'interesse collettivo dell'organizzazione sindacale cui il lavoratore aderiva in ragione dell'asserita falsità dei fatti riferiti alla stampa, data appunto la loro veridicità. Sanzionando una simile condotta, continua la Corte, si andrebbe “ad espugnare dal novero delle libertà sindacali quelle di reinterpretazione e di rinegoziazione degli accordi sottoscritti”. In considerazione di tutto quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione ha deciso per il rigetto del ricorso presentato dalla società, condannandola al pagamento delle spese.