Licenziamento ritorsivo, sì alle registrazioni legittime
- 21 Dicembre 2022
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Per provare la natura ritorsiva del licenziamento, il lavoratore può portare in giudizio anche registrazioni di conversazioni avvenute tra colleghi. È il principio stabilito dalla Cassazione nella sentenza 28398 del 29 settembre 2022 . Ha carattere ritorsivo il licenziamento motivato da un’ingiusta e arbitraria reazione del datore di lavoro, essenzialmente di natura vendicativa, a un comportamento legittimo del lavoratore e inerente a diritti a lui derivanti dal rapporto di lavoro stesso. Solo quando tale motivo ritorsivo sia stato l’unico a determinare il licenziamento quest’ultimo deve considerarsi nullo, con diritto del lavoratore a essere reintegrato in azienda e al pagamento di tutte le mensilità, dalla data del licenziamento alla data della reintegrazione. L’onere della prova del carattere ritorsivo del licenziamento è alquanto complesso e grava sul lavoratore, che può assolverlo con la dimostrazione di elementi specifici tali da far ritenere, con sufficiente certezza, l’intento di rappresaglia, dovendo tale intento aver avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro. Proprio a fronte del non agevole onere probatorio in capo al lavoratore, la giurisprudenza ha osservato come questo possa essere assolto mediante presunzioni e registrazioni delle conversazioni ma anche, in alcuni casi, attraverso una valutazione unitaria e globale, da parte del giudice, di tutti gli elementi prodotti in giudizio per escludere la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo oggettivo.