Le conseguenze della modifica del contratto collettivo
- 7 Dicembre 2022
- Pubblicazioni
La Cassazione afferma che può considerarsi legittimo un accordo tra le parti di modifica del CCNL originariamente scelto, con conseguente modifica peggiorativa del trattamento retributivo, fatti salvi i c.d. diritti quesiti. Tale accordo rientra nella libera autonomia delle parti e non necessita della formalizzazione in sede protetta. La Corte di Cassazione, con pronuncia n.31148 del 21 ottobre 2022, ha sottolineato che l’applicabilità al rapporto di lavoro in esame del CCNL è “frutto della comune volontà negoziale delle parti che hanno inteso modificare il contratto individuale con riferimento alla fonte collettiva applicabile al rapporto, fonte in precedenza costituita dal CCNL ”. Inoltre, la stessa ha evidenziato, richiamando un suo costante orientamento, che il contratto collettivo costituisce fonte eteronoma di integrazione del contratto individuale e la sostituzione in via negoziale di una fonte collettiva ad un’altra non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 2077 c.c. (invocato dalla giornalista) in tema di efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale. Ne consegue che, in caso di successione tra contratti collettivi, le modifiche “in peius” per il lavoratore sono ammissibili, fatti salvi i c.d. diritti quesiti. In sostanza, il lavoratore non può pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva che non esiste più. Le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contratto individuale ma costituiscono una fonte eteronoma di regolamento concorrente con la fonte individuale. Pertanto, le precedenti disposizioni del contratto collettivo non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole. Alla luce di questi principi, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la lavoratrice non avrebbe potuto far valere il principio della irriducibilità della retribuzione pretendendo il trattamento retributivo previsto dai CCNL succedutisi nel tempo. Tutt’al più la stessa avrebbe potuto richiedere la cristallizzazione della retribuzione percepita all’atto della modifica contrattuale e rivendicare differenze retributive a titolo di superminimo. Inoltre, ad avviso della Corte di Cassazione, l’opzione negoziale del lavoratore, che si esercita in favore di questo o quell’ambito negoziale, non è qualificabile come giudizio abdicativo. Ciò, in quanto non incide su pregresse e specifiche situazioni di vantaggio, già intestategli, quali i diritti derivanti dal contratto collettivo sostituito per il tempo della sua vigenza. La modifica contrattuale in questione non necessita, quindi, della sua formalizzazione in sede protetta ai sensi dell’art. 2113 c.c.