Dimissioni per fatti concludenti, sì alla Naspi se subentra la giusta causa

Dimissioni per fatti concludenti, sì alla Naspi se subentra la giusta causa

  • 24 Dicembre 2025
  • Pubblicazioni
L’Inps torna sulla delicata e dibattuta questione relativa alle dimissioni per fatti concludenti. Lo fa con la circolare 154/2025 ponendo l’accento sull’efficacia delle dimissioni intervenute dopo l’avvio da parte del datore di lavoro della procedura telematica. Più propriamente, il focus della circolare si incentra sulla possibilità del lavoratore di poter far ricorso alla Naspi quando, nei termini previsti dalla normativa, egli presenti le dimissioni telematiche per giusta causa interrompendo la procedura introdotta dal Collegato lavoro. Tali dimissioni prevalgono sulla procedura di cessazione per fatti concludenti. Analogamente l’Inps evidenzia che l’accesso alla Naspi è comunque consentito laddove il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo si colleghi a un’assenza ingiustificata del lavoratore protrattasi nel tempo. Non è sempre detto, afferma l’Inps, che la prolungata assenza del dipendente si debba automaticamente tradurre in un’attivazione della procedura di dimissioni per fatti concludenti secondo l’articolo 19 della legge 203/2024. È facoltà del datore di lavoro farvi ricorso ovvero procedere per altre vie. In merito alle dimissioni per fatti concludenti, la posizione assunta dal ministero del Lavoro e anche dall’Ispettorato nazionale del lavoro influisce sulla possibilità, per i soggetti coinvolti, di poter usufruire della disoccupazione. L’elemento discriminante è offerto dalla modalità con cui il dipendente perde il proprio lavoro. Se l’interruzione della prestazione avviene per cause a esso imputabili, non vi è accesso alla prestazione di sostegno del reddito; se, al contrario, la perdita dell’occupazione è involontaria, allora non vi sono elementi ostativi. Non va dimenticato che l’introduzione della disposizione legale che identifica l’assenza prolungata e ingiustificata del lavoratore (per un determinato periodo) nella sua volontà di non voler proseguire il rapporto di lavoro, rispondeva all’esigenza di colpire i furbetti della Naspi. Vale a dire coloro che, volendo lasciare l’azienda, non si dimettevano ma sparivano, costringendo il datore di lavoro a licenziarli e garantendosi, così, l’accesso alla prestazione previdenziale per un periodo che può coprire fino a 24 mesi di durata. Uno dei molti aspetti, su cui si possono svolgere delle riflessioni, è dato dalla possibilità, o meno, che la sola assenza del lavoratore, per un periodo previsto dai Ccnl o in mancanza per più di 15 giorni, possa configurare la sua volontà di lasciare l’azienda. Sul punto, riprendendo le conclusioni cui il Ministero giunge nella circolare 6/2025, l’Inps afferma che l’evenienza si presenta solo se il datore di lavoro individua, nel comportamento del lavoratore, la volontarietà di porre fine al contratto di lavoro. Nel documento si ricorda, tra l’altro, che a seguito dell’entrata in vigore della nuova procedura, è stato istituito il codice FC che preclude l’accesso alla prestazione a sostegno del reddito. Una diversa causale di cessazione potrebbe aprire le porte alla Naspi. Come già accennato, una di queste può essere DG che sta per dimissioni per giusta causa. Va, tuttavia tenuto presente che il ministero del Lavoro, nella nota 2504/2025, ha affermato che le dimissioni telematiche per giusta causa, comunicate dal lavoratore dopo l’avvio, da parte del datore di lavoro, della nuova procedura, ma intervenute prima che la «stessa abbia prodotto il suo effetto dismissivo, producono gli effetti previsti dalla legge, dal loro perfezionamento». Resta fermo, ovviamente, l’obbligo per il dimissionario di provare l’esistenza della giusta causa.

Fonte: SOLE24ORE