Licenziamento per dichiarazioni mendaci rilasciate in fase preassuntiva
- 24 Dicembre 2025
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La sentenza 10463/2025 del 20 ottobre del Tribunale di Roma ha respinto il ricorso promosso da una lavoratrice, licenziata per giusta causa. La vicenda trae origine dalle dichiarazioni (poi rivelatesi mendaci) effettuate da parte della dipendente in fase preassuntiva. In particolare, la candidata aveva dichiarato nel proprio curriculm vitae, in una successiva email e durante i colloqui preassuntivi di aver avuto delle specifiche esperienze lavorative nella qualità di assistente di volo dall’ottobre 2001 al gennaio 2022, peraltro anche per la compagnia aerea che stava effettuando la selezione. Proprio in ragione della maturata e dichiarata esperienza lavorativa, la società aveva proceduto all’assunzione come assistente di volo a tempo indeterminato, escludendo il periodo di prova. Dopo l’assunzione, inoltre, al fine di conseguire il rilascio del certificato di membro dell’equipaggio, la lavoratrice aveva sottoscritto la dichiarazione sostitutiva di certificazione ex articolo 46 del Dpr 445/2000, relativa allo svolgimento dell’attività lavorativa presso la medesima compagnia dal «2010 al 2021». Circostanza impossibile, atteso che in quel periodo la compagnia era in amministrazione straordinaria e non aveva stipulato alcun contratto a termine. Emergeva, quindi, che le dichiarazioni rese non corrispondessero al vero e veniva avviato un procedimento disciplinare. La dipendente, in sede di audizione orale, ammetteva i fatti contestati. La società, ritenutane la gravità, venuto meno l’elemento fiduciario, anche in considerazione delle mansioni che avrebbe dovuto svolgere, procedeva al licenziamento per giusta causa. La motivazione della sentenza riprende in modo chiaro e puntuale i principi – di legge e diritto – applicabili in tema di licenziamento disciplinare, dalla ripartizione dell’onere probatorio, alle circostanze del caso concreto, sia dal punto di vista oggettivo (come inadempimento contrattuale o fatti, anche estranei alla sfera del contratto, che fanno venir meno la fiducia nel lavoratore), che soggettivo (come l’intensità dell’elemento intenzionale o il grado di colpa). Nel replicare a una eccezione della ricorrente, il Tribunale si sofferma, inoltre, sulla irrilevanza, nel caso di specie, della mancata affissione del codice disciplinare (circostanza che generalmente determina la nullità della sanzione disciplinare), in ragione della portata di fatti contestati, contrari non solo ai più generali principi di diligenza, fedeltà, correttezza e buona fede, sottesi al rapporto di lavoro, ma – nella fattispecie – contrari specifiche norme di legge: «deve ritenersi che, in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale, non sia necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della proprio a condotta». Conclude il Tribunale di Roma per la sussistenza della giusta causa e la conseguente fondatezza del licenziamento, ritenuto una sanzione proporzionata alla condotta imputabile alla lavoratrice, cioè quella di avere in più occasioni reso dichiarazioni mendaci alla società.
Fonte: SOLE24ORE