Nel caso oggetto della sentenza n. 4481 del 14 novembre 2025 del Tribunale di Napoli Nord, un magazziniere-autista è stato licenziato tramite un messaggio WhatsApp inviato dal contabile dell'azienda. Il testo faceva riferimento a “ripetute assenze ingiustificate” e “ritardi nelle consegne”, senza alcuna preventiva contestazione disciplinare. Il messaggio non descriveva, peraltro, in maniera dettagliata i fatti contestati e rendeva in tal modo impossibile per il lavoratore esercitare pienamente il diritto di difesa. Costituitasi in giudizio, l'azienda provava a sostenere che il contabile non fosse titolato a comminare il licenziamento, tentando di qualificare l'allontanamento del lavoratore dall'azienda come una scelta spontanea dello stesso, assimilabile a dimissioni per fatti concludenti. Il Tribunale ha respinto questa impostazione, osservando che la costituzione in giudizio del datore di lavoro costituisse una ratifica dell'atto ai sensi dell'art. 1399 c.c., in grado di sanare eventuali vizi di rappresentanza. La validità delle comunicazioni con strumenti digitali e l'evoluzione giurisprudenziale. Il Tribunale ha confermato che un messaggio WhatsApp può integrare la forma scritta ad substantiam per un licenziamento, in linea con l'evoluzione della giurisprudenza. La crescente diffusione di strumenti digitali nelle relazioni di lavoro ha, infatti, gradualmente portato la giurisprudenza a interrogarsi sulla loro idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta previsto per il licenziamento. In questo percorso interpretativo, i giudici hanno più volte chiarito che non sussiste per il datore di lavoro che intenda licenziare l'onere di adoperare formule sacramentali. Così la Cassazione ha delineato da tempo un orientamento - che si è rivelato fondamentale anche nell'attuale fase di digitalizzazione – per cui la volontà di licenziare può essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purché risulti chiara e inequivocabile (cfr. Cass. n. 17652/2007, Cass. n. 6553/2009). Secondo il suddetto orientamento la forma scritta è, dunque, rispettata ogni qualvolta al lavoratore è trasmesso un documento che consenta di comprendere senza ambiguità l'intenzione datoriale di porre fine al rapporto, indipendentemente dal canale utilizzato. Alla luce di tali principi, la giurisprudenza più recente ha progressivamente riconosciuto la capacità di strumenti quali e-mail, SMS e WhatsApp di assolvere alla funzione di forma scritta, purché la comunicazione sia tracciabile, riconoscibile nella sua provenienza e chiara nel contenuto (cfr. Tribunale Catania, ordinanza del 27/06/2017; Corte d'Appello Firenze, sentenza del 05/07/2016; Cass. civ., Sez. lavoro, sentenza del 12/12/2017, n. 29753). In questa prospettiva, il Tribunale di Napoli Nord si inserisce in un solco ormai consolidato, ma chiarisce un punto fondamentale: la validità del mezzo non può supplire a vizi sostanziali. Nel caso in esame, il licenziamento è stato, infatti, dichiarato nullo per la totale assenza di una contestazione disciplinare e violazione della procedura di cui all'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori. Nullità “virtuale” e tutela reintegratoria. La mancanza della contestazione disciplinare determina l'inesistenza dell'intero procedimento disciplinare. Il Tribunale ha qualificato tale vizio come una nullità virtuale, ossia derivante dalla violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c., riconducibile alle ipotesi che comportano la tutela reintegratoria, anche per le aziende con meno di 15 dipendenti, ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. 23/2015. Di conseguenza, il lavoratore è stato reintegrato nel posto di lavoro e ha ottenuto il risarcimento delle retribuzioni e dei contributi maturati dal giorno del licenziamento fino alla reintegra. Rischi operativi per le aziende e implicazioni per i lavoratori. La sentenza in esame evidenzia come l'utilizzo di strumenti digitali nelle comunicazioni di recesso richieda un'attenzione persino maggiore rispetto ai canali tradizionali. Sebbene e-mail e WhatsApp siano ormai riconosciuti come mezzi idonei a integrare la forma scritta, la loro immediatezza può indurre il datore di lavoro a un uso eccessivamente informale, confidando nella “comodità” del mezzo e finendo per trascurare passaggi procedurali imprescindibili per legge. Sul versante del lavoratore, la decisione chiarisce che la digitalizzazione non riduce in alcun modo le garanzie dell'ordinamento: resta fermo il diritto a ricevere una contestazione puntuale degli addebiti e la possibilità di articolare, in risposta, un'effettiva difesa, con specifiche tutele di legge qualora la procedura non venga rispettata. La sentenza n. 4481/2025 del Tribunale di Napoli Nord segna un punto fermo nell'evoluzione del diritto del lavoro nell'era digitale: l'innovazione tecnologica non può comprimere le garanzie sostanziali poste a tutela del lavoratore. La modernizzazione degli strumenti di comunicazione viene accolta dal sistema, ma non può sostituire la correttezza del procedimento disciplinare. Per le aziende, dunque, il messaggio è evidente: la digitalizzazione dei processi deve essere accompagnata da una rigorosa osservanza delle procedure disciplinari. In caso contrario, il rischio di incorrere in licenziamenti nulli — con conseguente reintegra e significative conseguenze economiche — rimane elevato.
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL