Nella fattispecie in oggetto dell'ordinanza n. 30822 del 24 novembre 2025 della Corte di Cassazione, la Corte d'appello, decidendo sul reclamo proposto ai sensi della L. 92/2012, riformava la sentenza di primo grado e dichiarava illegittimo il licenziamento intimato nel febbraio del 2017 ad un dipendente all'esito di un procedimento disciplinare azionato nei suoi confronti. In particolare, al dipendente, che svolgeva mansioni di croupier, era stato contestato di essersi appropriato di due banconote da 100 euro ciascuna durante due operazioni di cambio di denaro in gettoni da gioco. La contestazione si era fondata sulle riprese delle telecamere presenti sul tavolo da gioco. La Corte di merito riteneva tali riprese fossero non utilizzabili, in quanto l'autorizzazione rilasciata dall'Ispettorato del lavoro ai sensi dell'art. 4 della L. 300/1970 prevedeva che le immagini non potessero in nessun caso costituire oggetto di contestazione disciplinare o motivo di addebito, potendo essere utilizzate esclusivamente a discolpa del lavoratore. E, a ciò aggiungasi, che l'art. 35 del CCNL di settore, rubricato “Tutela del patrimonio aziendale”, richiamava per gli impianti audiovisivi le disposizioni dell'Ispettorato che ne regolamentavano le modalità di utilizzo. Era stato accertato che le telecamere erano destinate alla pronta ed efficace risoluzione delle contestazioni di gioco ed a tutelare il patrimonio aziendale da illeciti commessi da terzi invece il controllo dei lavoratori era affidato a visite ispettive o ad altre figure professionali presenti all'interno del luogo di lavoro. Inoltre, le telecamere non potevano essere considerate “strumenti di lavoro” ai sensi del comma 2 dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, nella versione modificata dal D.Lgs. 151/2015, come sostenuto dalla società. Secondo i giudici di merito, anche volendo ipotizzare la possibilità di controlli difensivi in caso di illeciti penalmente rilevanti, nel caso concreto mancavano i presupposti:
il controllo non aveva riguardato dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto bensì dati precedentemente raccolti e successivamente esaminati;
in un'ottica di bilanciamento di interessi, il datore di lavoro avrebbe potuto adottare misure meno invasive.
La dichiarata inutilizzabilità delle videoriprese comportava la mancanza di prova dell'illecito ascritto al dipendente con conseguente illegittimità del recesso datoriale. Avverso la decisione di merito ricorreva in cassazione la società a cui resisteva con controricorso il lavoratore. Ai sensi dell'art. 4 della L. 300/1970, intitolato “Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo”, nel testo sostituito dall'art. 23 c. 1 D.Lgs 151/2021, applicabile ratione temporis:
“1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione della sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell'Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi.
2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”La Corte di Cassazione, investita della causa, ha osservato che il comma 3 dell'art. 4 L. 300/1970, nel prevedere l'utilizzabilità delle informazioni raccolte a “tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”, consente anche l'uso a fini disciplinari delle informazioni raccolte per il tramite impianti audiovisivi. Ciò, purché siano rispettati gli ulteriori requisiti di legge, ossia:
adeguata informazione al lavoratore sulle “modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli” nonché rispetto delle disposizioni dettate dal Codice in materia di protezione dei dati personali di cui al D.Lgs. n. 196/2003. Quanto al possibile contrasto tra la previsione generale e le eventuali limitazioni contenute nell'autorizzazione amministrativa dell'Ispettorato del lavoro, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che le clausole restrittive anteriori alle modifiche introdotte dall'art. 23 c. 1 D.Lgs. 151/2015 devono considerarsi caducate con l'entrata in vigore della nuova disciplina. In particolare, è stato affermato che “in tema di controlli a distanza, l'autorizzazione amministrativa ex art. 4 st. lav. (nel testo anteriore alle modifiche di cui all'art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 151 del 2015) all'installazione di impianti audiovisivi, contenente clausola che preveda limiti di utilizzabilità a fini disciplinari delle informazioni acquisite, conserva, ove i controlli siano stati effettuati successivamente alla data di entrata in vigore della novella legislativa - che sancisce l'utilizzabilità delle informazioni "a tutti í fini connessi al rapporto di lavoro" -, validità, in virtù del principio generale di conservazione degli atti giuridici, a condizione che la predetta clausola presenti, in relazione al contesto dell'atto in cui è inserita, profili di scindibilità e di autonomia, sì da potersi ritenere caducata per contrasto con la legge sopravvenuta, con conseguente non operatività dei predetti limiti di utilizzabilità” (cfr. Cass n. 32683/2021). In sostanza, le limitazioni all'utilizzo disciplinare dei dati raccolti sono state superate dalla sopravvenuta modifica legislativa. Tuttavia - precisa la Corte di Cassazione - tale soluzione non può essere automaticamente applicata al caso di specie poiché (come accertato dalla Corte di merito e non contestato dalla società) l'inutilizzabilità delle informazioni derivava non solo dalla autorizzazione amministrativa ma anche dal suo espresso recepimento nel contratto collettivo. Pertanto, la clausola che vieta l'utilizzo delle informazioni raccolte tramite videocamere costituisce espressione dell'autonomia negoziale delle parti collettive, meritevole di tutela, in quanto rappresenta una disposizione di maggior favore per il lavoratore. In considerazione di quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso presentato dalla società e per la sua condanna al pagamento delle spese di lite.
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL