Negli appalti è antisindacale applicare un contratto peggiore di quello leader
- 9 Dicembre 2025
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L’applicazione, negli appalti privati, di un contratto collettivo che contiene trattamenti peggiorativi rispetto a quello stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative integra violazione dell’articolo 29, comma 1-bis, del Dlgs 276/2003 e, per riflesso, condotta antisindacale in base all’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori. Così ha deciso il Tribunale di Milano, con decreto pubblicato il 4 dicembre, nella prima applicazione giudiziale della disposizione introdotta dal decreto legge 19/2024 per rafforzare la disciplina antidumping: in base al comma 1-bis, ai lavoratori impiegati in appalti e subappalti spetta un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni comparativamente più rappresentative. Il giudice chiarisce che il nuovo comma non configura un semplice parametro retributivo, ma un vincolo legale sulla corretta regolazione del mercato del lavoro negli appalti, la cui osservanza è affidata anche al sindacato stipulante il Ccnl leader. La violazione del parametro, quindi, incide direttamente sulla sfera collettiva di prerogative dell’organizzazione comparativamente più rappresentativa, legittimando il ricorso all’articolo 28. La controversia riguardava l’applicazione da parte di un’azienda a un gruppo di lavoratori, iscritti alla Filcams-Cgil, di un contratto collettivo che presentava valori economici e normativi inferiori rispetto al Ccnl vigilanza privata e servizi di sicurezza (al termine di un percorso caratterizzato da una lunga conflittualità). Secondo il ricorrente, tale scelta eludeva la funzione di garanzia affidata dalla norma alla contrattazione leader e produceva un trattamento complessivo non conforme allo standard legale. Di particolare rilievo è la motivazione sul requisito della rappresentatività comparata, necessario per individuare il “contratto paradigma” del settore. Il Tribunale utilizza un approccio sistematico: numero di iscritti, diffusione territoriale, ruolo negli organismi istituzionali, ampiezza dei Ccnl stipulati e, soprattutto, grado di effettiva applicazione del contratto nel settore della vigilanza. Da questi indici emerge la posizione di evidente prevalenza della Filcams, con il relativo Ccnl riconosciuto come riferimento oggettivo per misurare la conformità dei trattamenti negli appalti privati. Una volta selezionato il parametro, il giudice dispone una comparazione tecnico-giuridica tramite Ctu, applicando i criteri di equivalenza economica e normativa oggi recepiti nel Codice degli appalti e nelle delibere interpretative dell’Anac. La verifica mette in luce differenze significative e sistematiche: retribuzione base, mensilità aggiuntive, indennità, Tfr, oltre a istituti di carattere normativo quali malattia, maternità, infortunio, ferie, straordinario e part time. La Ctu evidenzia scostamenti ben oltre il limite di accettabilità previsto dalla disciplina, escludendo l’equivalenza per tutto il periodo rilevante. Da tale ricostruzione discende l’accertamento dell’antisindacalità: la violazione dell’articolo 29, comma 1-bis, priva il sindacato leader della propria funzione regolatoria nel segmento degli appalti, producendo un effetto lesivo immediato e attuale. Il decreto ordina l’applicazione di trattamenti economici e normativi non inferiori a quelli previsti dal Ccnl vigilanza e servizi di sicurezza e dispone una penale per ogni giorno di ritardo nell’adempimento, per assicurare l’effettività dell’ordine. La decisione rappresenta un precedente significativo: il nuovo articolo 29, comma 1-bis, assume valore operativo nella verifica giudiziale dei contratti applicati negli appalti, irrigidendo il sistema di tutele e rafforzando il ruolo della contrattazione leader come presidio della concorrenza leale e della qualità del lavoro.
Fonte: SOLE24ORE