Obbligo contributivo e minimale: inderogabili dai contratti integrativi

Obbligo contributivo e minimale: inderogabili dai contratti integrativi

  • 9 Dicembre 2025
  • Pubblicazioni
La Corte di Cassazione, con le ordinanze n. 30457 e 30428 del 18 novembre 2025, ha affermato che la contrattazione integrativa aziendale non può derogare in pejus al principio del minimale contributivo, in quanto quest'ultimo è inderogabile. Contratti collettivi come unico parametro previdenziale. Nel definire il concetto di “minimale contributivo”, l'art. 1 della L. 389/1989 stabilisce che la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali e assistenziali non può essere inferiore a quella stabilita da leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, se più favorevoli. Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che la contrattazione collettiva rappresenta il parametro per il calcolo dei contributi. In sostanza, se il contratto individuale prevede una retribuzione inferiore rispetto a quella fissata dal contratto collettivo applicabile, il datore di lavoro è tenuto a versare i contributi anche sulle differenze tra il salario effettivamente corrisposto e quello determinato dalla contrattazione collettiva di settore. Questo principio opera esclusivamente sul piano previdenziale; non trovano, quindi, applicazione, in questo ambito, i criteri ex art. 36 Cost. sul c.d. "minimo retributivo costituzionale". Detti criteri assumono rilevanza solo quando i contratti collettivi vengono utilizzati - con effetti sul distinto rapporto di lavoro - per determinare la giusta retribuzione (cfr. Cass. SS. UU. 11199/2002, a cui hanno fatto seguito numerose altre pronunce, tra cui Cass. 2758/2006, la Cass. 16/2012 e la Cass. 19284/17). Né tantomeno trova applicazione l'art. 39 Cost. poiché l'estensione prevista dalla legge riguarda esclusivamente la parte economica dei contratti e ai soli fini dell'individuazione di un parametro contributivo minimale comune. Non potendo l'importo della retribuzione imponibile essere inferiore a quanto è - o sarebbe - dovuto in base al contratto collettivo nazionale leader, risulta irrilevante, sul piano del rapporto contributivo, che il datore di lavoro applichi ai propri dipendenti il contratto di un altro settore oppure, nello stesso settore, un contratto stipulato da associazioni prive della necessaria rappresentatività. In entrambi i casi, ai fini della contribuzione, il contratto effettivamente applicato rileva solo se prevede una retribuzione superiore rispetto a quella stabilita dal contratto nazionale leader. In applicazione di tale principio, è stato affermato che neppure la riduzione retributiva derivante dall'applicazione di un contratto di prossimità legittimamente stipulato ai sensi dell'art. 8 del D.L. n. 138/2011 può costituire motivo sufficiente per derogare al minimale contributivo. Attività effettivamente esercitata. Nell'effettuare una distinzione tra il contratto collettivo applicabile nei rapporti fra datore e lavoratore sotto il profilo economico-retributivo, e quello posto a base degli obblighi previdenziali, rilevante nel rapporto fra datore ed INPS, è necessario richiamare il primo comma dell'art. 2070 c.c. che fornisce il criterio per individuare il settore specifico dell'attività svolta dall'impresa. Ai sensi di tale norma l'appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell'applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l'attività effettivamente esercitata dall'imprenditore. In questo contesto si inserisce giurisprudenza secondo la quale “la retribuzione da assumere a parametro per la determinazione dei contributi previdenziali (cd. minimale contributivo) ex art. 1 D.L. n. 338 n. 1989, conv. con modif. dalla L. n. 389 del 1989, è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nel settore di attività effettivamente svolta dall'impresa ai sensi dell'art. 2070 c.c., dovendosi far riferimento ad un criterio oggettivo e predeterminato che non lasci spazio a scelte discrezionali o a processi di autodeterminazione normativa, che restano viceversa possibili solo in relazione al trattamento economico e normativo dei lavoratori nei limiti dell'art. 36 Cost.” (Cass. n. 19759/2024). Peraltro, l'obbligo contributivo permane nell'intero ammontare previsto dal contratto collettivo, anche nei casi di assenza del lavoratore o di sospensione della prestazione lavorativa. La sospensione del predetto obbligo si realizza nelle sole ipotesi previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva con riferimento ad istituto quali la malattia, l'infortunio, la maternità o la cassa integrazione (cfr. Cass. n. 12974/2025). Autonomia dell'obbligazione contributiva. Questa tesi si inserisce nel solco di una giurisprudenza ormai consolidata, che riafferma l'autonomia dell'obbligazione contributiva rispetto a quella retributiva, anche alla luce della funzione pubblicistica dell'obbligazione previdenziale, intesa come presidio del sistema di protezione sociale e, in quanto tale, sottratta alla libera disponibilità delle parti del rapporto di lavoro. Il principio del minimale contributivo - quale standard inderogabile - non può essere ridimensionato neppure in presenza di accordi individuali, orari multiperiodali o forme di flessibilità convenzionali, qualora essi comportino il rischio di una contribuzione inferiore a quella dovuta secondo i parametri della contrattazione collettiva nazionale. La stessa contrattazione integrativa aziendale non può derogare in pejus al principio del minimale contributivo, essendo la materia previsionale indisponibile così come si evince dall'art. 2115 c. 3 c.c. soggetta a regolamentazione tramite norme imperative di legge statale (alias l'art. 1 della L. 389/89). Si ribadisce che, ai fini del calcolo dei contributi, la retribuzione rilevante non è quella concretamente erogata, ma quella individuata dal legislatore attraverso la disciplina finora esaminata. La contribuzione, infatti, deve essere calcolata sul trattamento retributivo astrattamente dovuto al lavoratore in base al contratto collettivo applicabile, ovvero (se più favorevole) al contratto individuale. In altre parole, non assume rilievo la retribuzione effettivamente corrisposta ma quella individuata per via legislativa con la disposizione di cui all'art. 1 della L. 389/1989. Questa impostazione si ispira a ragioni di equità e sostenibilità del sistema previdenziale, garantendo che tutti i lavoratori, anche in contesti cooperativi o di impiego flessibile, possano maturare diritti pensionistici e assistenziali adeguati.

Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL