Dimissioni di fatto solo dopo almeno quindici giorni lavorativi

Dimissioni di fatto solo dopo almeno quindici giorni lavorativi

  • 5 Dicembre 2025
  • Pubblicazioni
Ai fini dell’operatività delle dimissioni di fatto in caso di assenza ingiustificata, è necessario superare i quindici giorni lavorativi, salvo che la contrattazione collettiva preveda un termine più ampio, espressamente dedicato alla fattispecie. Per ridurre l’arco di tempo richiesto dalla legge non è possibile utilizzare i termini del licenziamento disciplinare contenuti nel Ccnl e, in ogni caso, questi dovrebbero essere superiori a quello legale. È questa la conclusione cui è giunta la sentenza del Tribunale di Bergamo del 9 ottobre 2025, che si inserisce nel nuovo quadro normativo sulle dimissioni di fatto delineato dalla legge 203/2024, che ha modificato il Dlgs 81/2015. Una decisione coerente con quanto contenuto nella circolare del ministero del Lavoro 6/2025, ma non con quanto affermato dal Tribunale di Milano (e in precedenza dal Tribunale di Trento) che, con una approfondita pronuncia del 29 ottobre scorso, ha affermato che il termine minimo per considerare il lavoratore “dimissionario di fatto” può essere modulato dal contratto collettivo anche in senso riduttivo e che, comunque, coincide con termini già previsti dal contratto collettivo per il licenziamento a fini disciplinari. La vicenda oggetto della sentenza di Bergamo riguarda un lavoratore considerato dimissionario dopo dodici giorni complessivi di assenza ingiustificata. La società ha ritenuto tale periodo sufficiente per considerare il dipendente dimissionario di fatto e ha attivato la relativa procedura. Il Tribunale ritiene errata questa scelta, partendo dalla qualificazione del termine minimo. Il giudice sottolinea che il Ccnl gomma-plastica non contiene una disciplina ad hoc sulle dimissioni presunte e questa carenza non è sanabile, in quanto non è possibile traslare i termini previsti per il licenziamento disciplinare, che appartengono a un istituto diverso, garantito da una procedura specifica, secondo l’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori.  Il termine minimo della nuova disciplina, secondo il Tribunale, ha un’altra funzione: deve rendere oggettivamente inequivoca la volontà del lavoratore di sciogliere il rapporto senza alcuna interlocuzione formale. L’azienda avrebbe dovuto, secondo la sentenza, attivare un procedimento disciplinare per assenza ingiustificata. Da questa lettura discende un’altra significativa scelta interpretativa: i quindici giorni non vanno calcolati come giorni di calendario, ma lavorativi. L’assenza ingiustificata è un comportamento che può realizzarsi solo nelle giornate in cui la prestazione è dovuta; ragionare a calendario produrrebbe effetti irragionevoli, specie nei part time verticali, in cui un arco temporale di quindici giorni naturali potrebbe tradursi in un numero minimo di effettive assenze. Solo il superamento dei quindici giorni lavorativi rende, secondo il giudice, “inequivocabile” il disinteresse del dipendente alla prosecuzione del rapporto. Applicando questi criteri, il periodo di dodici giorni complessivi non viene considerato sufficiente a integrare la soglia minima richiesta dalla legge. La cessazione per “fatti concludenti” è stata quindi dichiarata inefficace, con conseguente ripristino del rapporto e condanna della società alle retribuzioni maturate dalla messa in mora valida. La sentenza conferma che la norma sulle dimissioni è oggetto di una forte instabilità interpretativa: la sensazione è che il sistema dovrà convivere per qualche tempo con decisioni oscillanti, finché la giurisprudenza non individuerà un punto di equilibrio o finché non interverrà un chiarimento legislativo.

Fonte: SOLE24ORE