Il prolungamento del periodo di preavviso necessita di un adeguato corrispettivo

Il prolungamento del periodo di preavviso necessita di un adeguato corrispettivo

  • 2 Dicembre 2025
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L’articolo 2118 del codice civile riconosce a ciascuno dei contraenti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato il diritto di recedere dal contratto «dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità». Sebbene il tenore letterale della norma avesse inizialmente indotto alcuni commentatori a ritenere che la fissazione dei termini di preavviso fosse rimessa esclusivamente all’autonomia collettiva e, in mancanza, agli usi e all’equità, tale orientamento, da sempre minoritario, è pressoché scomparso. Ormai da anni, infatti, la giurisprudenza è ferma nel ritenere lecito, a certe condizioni, l’accordo individuale di prolungamento del periodo di preavviso contrattualmente dovuto in caso di dimissioni (non per giusta causa). L’interesse ad un patto del genere è, in primo luogo, del datore di lavoro, che in un breve lasso di tempo deve sostituire il lavoratore dimissionario (interesse tanto maggiore quanto più la professionalità del dimissionario è difficile da reperire sul mercato), senza svantaggiare troppo il lavoratore, che del prolungamento del preavviso beneficerebbe in qualche modo ai fini dell’anzianità, dei miglioramenti retributivi e di carriera, anche se, come vedremo, questi indiretti vantaggi per il prestatore d’opera non sono da soli sufficienti. La sentenza del tribunale di Tivoli, sezione Lavoro, sentenza n. 1488 del 13 novembre 2025 in commento si segnala, quindi, per avere ribadito, in generale, la legittimità del patto con cui il datore di lavoro ottiene dal dipendente un prolungamento del suo obbligo di preavviso in caso di dimissioni. Il giudizio favorevole, peraltro, riguarda in questo caso un patto con cui le parti avevano concordato un significativo aumento del termine di preavviso del lavoratore, prolungandolo sino a 18 mesi, in deroga al ben più breve termine di soli 90 giorni previsto dal Ccnl. Il che serve anche a farsi un’idea di quanto le parti possano spingersi nella deroga alla previsione contrattualcollettiva, atteso che il prolungamento del periodo di preavviso non può comunque eccedere certi limiti. Devono, infatti, escludersi pattuizioni che prolunghino il periodo di preavviso in caso di dimissioni al punto tale da vanificare, in concreto, l’esercizio del diritto di recesso dal contratto di lavoro. La determinazione della durata del preavviso convenzionalmente fissato dalle parti del rapporto di lavoro dovrà, pertanto, realizzare un equo contemperamento degli interessi in gioco ed essere temporalmente contenuto entro limiti di ragionevolezza tali da non comprimere oltre modo gli interessi del lavoratore, pregiudicando la sua effettiva libertà di recedere da un rapporto a tempo indeterminato. Fermo, quindi, il giudizio di legittimità in astratto di una simile clausola, il Tribunale ha, peraltro, evidenziato come «… la giurisprudenza di legittimità … apre alla possibilità per le parti di derogare rispetto alla durata del periodo di preavviso previsto a livello collettivo, ponendo tuttavia delle condizioni a tale derogabilità …». In altri termini, la rimessione alla libertà contrattuale delle parti non è priva di limiti. In primo luogo, chiarisce la sentenza in commento, un limite è posto sui tempi di durata minima del preavviso «… non potendosi il preavviso escludere né abbreviare rispetto a quanto ivi (ndr, nel Ccnl) previsto, mentre è possibile per le parti concordare un periodo più ampio di quello previsto dal Ccnl …». È quindi lecito l’accordo che prevede un prolungamento del periodo di preavviso, mentre è vietato quello volto a ridurne la durata o addirittura ad escluderlo. Non solo. La sentenza in commento precisa, inoltre, come il concordato prolungamento del periodo di preavviso sia valido solo se persegue finalità meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento. E mentre per la parte datoriale tale finalità è certamente quella di garantirsi un più lungo periodo di transizione per reperire sul mercato una professionalità adeguata a sostituire il dipendente dimissionario, l’interesse per il lavoratore non può rinvenirsi semplicemente «… nel computo dell’intero periodo agli effetti della indennità di anzianità, dei miglioramenti retributivi e di carriera e dal regime di tutela della salute …», ma va ricercato nella «… congruità di una controprestazione specificamente pattuita in favore del lavoratore a fronte del maggior vincolo allo stesso imposto … posto che la mancanza o l’inadeguatezza di un corrispettivo rispetto alla previsione di un termine di recesso più lungo rispetto a quello previsto dal Ccnl si tradurrebbe in una deroga in peius dello stesso, in contrasto con l’articolo 2077 co. 2 c.c. …». In altri termini, il concordato prolungamento del periodo di preavviso a carico del dimissionario deve prevedere, a fronte del limitato diritto di recesso del lavoratore, un adeguato corrispettivo, pagato in favore del dipendente, come somma extra che compensi il prestatore d’opera della modifica in peius delle condizioni contrattuali previste. Anche in questo caso, quindi, la sentenza conferma come «… l’assenza di corrispettività si traduce in una disciplina innegabilmente peggiorativa rispetto a quella di cui al Ccnl, posto che viene imposto al lavoratore un vincolo più gravoso senza riconoscergli alcuna compensazione in termini di miglioramento delle altre condizioni del rapporto …» il che inevitabilmente conduce ad un giudizio di »… nullità della clausola a norma dell’articolo 2077 c.c. …».

Fonte: SOLE24ORE