Retribuzioni diversificate, prova della non discriminazione a carico del datore
- 1 Dicembre 2025
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In caso di contenzioso, secondo la direttiva 970/2023 spetta sempre al datore di lavoro provare l’insussistenza della discriminazione retributiva. L’articolo 18, infatti, stabilisce una deroga al principio dell’onere della prova stabilendo che spetta alla parte convenuta provare l’insussistenza della discriminazione retributiva diretta o indiretta ove i lavoratori che si ritengono lesi dalla mancata osservanza nei propri confronti del principio della parità di retribuzione abbiano prodotto dinanzi a un’autorità competente o a un organo giurisdizionale nazionale elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta. La scelta europea non è per nulla banale. Questa impostazione rischia di produrre un forte aumento del contenzioso soprattutto se consideriamo che l’esito negativo di un giudizio per il lavoratore non comporta per il lavoratore l’onere delle spese giudiziarie. L’onere della prova è invertito anche qualora un datore di lavoro non abbia attuato gli obblighi in materia di trasparenza retributiva di cui agli articoli 5, 6, 7, 9 e 10, salvo i casi in cui il datore di lavoro dimostri che la violazione dei suddetti obblighi è stata manifestamente involontaria e di lieve entità. L’articolo 20, invece, prevede che nei procedimenti relativi a un ricorso in materia di parità di retribuzione, le autorità competenti o gli organi giurisdizionali nazionali possono ordinare al convenuto di divulgare qualsiasi elemento di prova pertinente che rientri nel controllo del convenuto stesso. Il comma 2 dell’articolo 20 prevede che le autorità competenti nazionali dispongano del potere di ordinare la divulgazione delle prove che contengono informazioni riservate, ove le ritengano rilevanti ai fini del ricorso in materia di parità di retribuzione, fermo restando prevedere misure efficaci per tutelarle. L’articolo 21 fissa le regole anche sui termini prescrizionali: gli Stati membri devono stabilire i termini di prescrizione per presentare ricorsi in materia di parità di retribuzione, quando iniziano a decorrere tali termini, la loro durata e le circostanze in cui possono essere sospesi o interrotti. I termini di prescrizione non iniziano a decorrere prima che la parte ricorrente sia a conoscenza, o si possa ragionevolmente presumere che sia a conoscenza, di una violazione. Secondo la direttiva, gli Stati membri possono anche decidere che i termini di prescrizione non inizino a decorrere mentre è in corso la violazione o prima della cessazione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro. In ogni caso, la direttiva stabilisce che tali termini di prescrizione non sono inferiori a tre anni. Il termine di prescrizione è sospeso o interrotto non appena una parte ricorrente intraprende un’azione sottoponendo il reclamo all’attenzione del datore di lavoro o avviando un procedimento dinanzi a un organo giurisdizionale, direttamente o per mezzo dei rappresentanti dei lavoratori, dell’ispettorato del lavoro o dell’organismo per la parità (articolo 21, comma 2). In definitiva, l’inversione dell’onere della prova rappresenta uno snodo cruciale nel nuovo equilibrio tra poteri datoriali e diritti dei lavoratori che la direttiva 970/2023 già prefigura. Essa traduce in chiave processuale il principio di parità retributiva, ma apre anche interrogativi sul rischio di un contenzioso seriale e sull’impatto che tale impostazione potrà avere sulle dinamiche interne alle imprese: uno snodo che il recepimento nazionale dovrà presidiare con equilibrio.
Fonte: SOLE24ORE