Licenziamenti disciplinari, valida la clausola di inutilizzabilità dei ccnl
- 1 Dicembre 2025
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Le immagini raccolte tramite impianti audiovisivi possono essere utilizzate a fini disciplinari solo se ricorrono tutte le condizioni poste dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori e se né la legge, né la contrattazione collettiva ne limitano l’impiego; qualora il contratto collettivo preveda una clausola di inutilizzabilità, tale vincolo resta pienamente efficace anche dopo la riforma della materia intervenuta nel 2015. È il principio affermato dalla Cassazione nella sentenza 30822 del 24 novembre 2025, che interviene nuovamente sul rapporto tra videosorveglianza, potere disciplinare e autonomia collettiva. La vicenda nasce dal licenziamento di un dipendente accusato di essersi appropriato di denaro durante operazioni di cambio. La prova principale era costituita dalle registrazioni delle telecamere installate sopra i tavoli da gioco, autorizzate anni prima dall’Ispettorato del lavoro. Il Tribunale aveva confermato la validità del recesso. La Corte d’appello aveva invece dichiarato l’inutilizzabilità delle immagini e l’illegittimità del licenziamento, richiamando la clausola contenuta nell’autorizzazione amministrativa — espressamente recepita nel contratto collettivo — secondo cui le riprese non potevano essere usate per contestare addebiti disciplinari ai croupier. L’azienda ha presentato ricorso sostenendo che il Jobs Act ha introdotto una regola opposta: l’articolo 4, comma 3, dello Statuto stabilisce che le immagini sono utilizzabili «a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro», quindi anche disciplinari, purché il lavoratore sia stato informato e siano rispettate le regole sulla privacy. Secondo questa tesi, la clausola limitativa contenuta nell’autorizzazione – e richiamata dal contratto collettivo – sarebbe stata superata dalla legge sopravvenuta. La Cassazione rifiuta questa lettura partendo dalla struttura dell’articolo 4 nel testo vigente. La norma distingue tra due categorie di strumenti: quelli potenzialmente idonei al controllo a distanza, che richiedono accordo sindacale o autorizzazione, e gli strumenti di lavoro, per i quali invece non serve alcun adempimento preventivo. Nel caso esaminato, la Corte ribadisce che le telecamere non erano «strumenti di lavoro»: il loro uso era rimesso esclusivamente alla sala regia, al di fuori delle mansioni dei croupier. Da ciò discendeva la piena applicabilità dell’articolo 4, comma 1, e dei relativi vincoli. Il punto centrale riguarda, però, l’utilizzabilità disciplinare delle immagini. La Corte riconosce che, dopo il 2015, il comma 3 dell’articolo 4 prevede espressamente tale possibilità, superando la tradizionale distinzione tra controlli difensivi e controlli sull’attività lavorativa. Tuttavia, la norma presuppone che nulla, in altre fonti, limiti tale impiego. Ed è qui che la decisione compie un salto logico rilevante: distingue tra prescrizioni contenute nella sola autorizzazione amministrativa e prescrizioni recepite nel contratto collettivo. La giurisprudenza precedente, infatti, aveva chiarito che le clausole limitative inserite nelle autorizzazioni ante riforma non sopravvivono se incompatibili con la nuova disciplina. Ma nella vicenda attuale la limitazione non era solo nell’autorizzazione: era stata fatta propria dalle parti sociali, attraverso una specifica clausola contrattuale che riproduceva il divieto di usare le immagini per fini disciplinari. Una clausola di maggior favore che, secondo la Cassazione, è pienamente meritevole di tutela e non viene intaccata dalla riforma. In questa prospettiva, la clausola contrattuale rappresenta una scelta regolatoria autonoma, volta a destinare la videosorveglianza alla gestione delle controversie di gioco e alla protezione del patrimonio da illeciti di terzi, ma non al controllo sulle prestazioni dei dipendenti. Una scelta che rimane efficace anche dopo la modifica dell’articolo 4. La Corte affronta poi il tentativo dell’azienda di qualificare le immagini come «esiti incidentali» di un controllo difensivo. La tesi viene respinta sia per ragioni tecniche — la videosorveglianza non era appositamente attivata in presenza di un sospetto, ma operava in modo ordinario e continuativo — sia perché il contratto collettivo aveva già escluso in radice ogni possibilità di utilizzo disciplinare, a prescindere dalla natura del controllo.
Fonte: SOLE24ORE