Obbligo di trattare l’accordo aziendale se previsto dalle parti

Obbligo di trattare l’accordo aziendale se previsto dalle parti

  • 21 Novembre 2025
  • Pubblicazioni
Il diritto sindacale non prevede, nell’attuale sistema normativo, che il datore di lavoro sia obbligato a trattare e stipulare contratti collettivi con tutte le organizzazioni sindacali. La sua autonomia negoziale, infatti, gli consente innanzitutto di sottoscrivere contratti con sindacati differenti rispetto a quelli con cui aveva trattato il precedente contratto. Ma non solo: la parte datoriale può anche esimersi dall’aprire trattative di stipula con tutte le organizzazioni sindacali, non sussistendo alcun principio assoluto di necessaria parità di trattamento tra le varie sigle. Su questo presupposto, la Corte di cassazione (ordinanza 29738/2025) ha in ogni caso chiarito che la libertà negoziale della parte datoriale non può essere utilizzata in maniera distorta: se, infatti, si produce una lesione apprezzabile della libertà sindacale dell’organizzazione esclusa, il comportamento del datore di lavoro rientra tra le ipotesi di condotta antisindacale previste dall’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori. Dal punto di vista strettamente rituale, la valutazione del comportamento in concreto tenuto dal datore di lavoro e della sua rispondenza ai principi di correttezza e buona fede è un giudizio di merito, che serve a riempire di contenuti l’articolo 28, qualificato come una «fattispecie strutturalmente aperta». Per i giudici della cassazione va inoltre specificato che, sebbene non sussista un obbligo di fonte legale che vincoli il datore di lavoro a negoziare e stipulare contratti collettivi con le organizzazioni sindacali, nulla esclude che l’obbligo nasca tuttavia da una fonte convenzionale. Se, cioè, le parti collettive, tramite uno specifico accordo, si sono vincolate a trattare, il datore di lavoro non può validamente esimersi dall’ottemperare. Nel caso specificato, le parti avevano previsto in un accordo di livello aziendale un reciproco impegno a trattare secondo buona fede, al fine di valutare i presupposti per un rinnovo alle medesime o a diverse condizioni o a prendere atto dell’impossibilità di giungere a un nuovo accordo. Per i giudici di merito, con sentenza confermata in Cassazione, a fronte di una tale previsione, la presentazione da parte del datore di lavoro di una proposta definita insindacabilmente come «non trattabile», si pone quindi in contrasto con i princìpi di correttezza e buona fede che devono connotare le trattative contrattuali e non può essere pertanto ricondotta nell’alveo della libertà sindacale della parte datoriale.

Fonte: SOLE24ORE