Nel caso oggetto dell'ordinanza n. 28367 del 27 ottobre 2025 della Corte di Cassazione, un'azienda avviava un procedimento disciplinare nei confronti di un proprio dipendente, reo di aver praticato una disciplina sportiva incompatibile con le prescrizioni del medico competente. Quest'ultimo, infatti, lo aveva giudicato idoneo alla mansione specifica con la limitazione della movimentazione manuale dei carichi al di sopra dell'altezza della spalla e della movimentazione manuale di carichi aventi peso superiore ai 18 kg. All'esito del procedimento la società procedeva con il licenziamento per giusta causa che il lavoratore impugnava giudizialmente. La Corte d'appello, nell'ambito di un procedimento di reclamo ex L. 92/2012, confermava la pronuncia di primo grado che aveva ritenuto legittimo il provvedimento espulsivo. Alla luce delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio e, in conformità con le valutazioni espresse in primo grado, la Corte d'appello accertava che le condotte del lavoratore erano state individuate dalla società attraverso l'esame dei video da lui stesso pubblicati sulla piattaforma Instagram. Secondo la Corte d'appello il lavoratore aveva posto in essere “un'attività extralavorativa, tutt'altro che episodica o causale, consistente in esercizi fisici potenzialmente idonei a comportare un aggravamento delle patologie sofferte.”. Concludendo, la Corte distrettuale riteneva che “le violazioni poste in essere dal lavoratore, considerate nell'aspetto sia oggettivo che soggettivo, appaiono di particolare gravità, sì da avere un inevitabile riflesso sulla funzionalità del rapporto di lavoro, compromettendo le aspettative della parte datoriale in ordine ad un futuro puntuale adempimento degli obblighi assunti dal lavoratore, secondo i canoni di fedeltà, buona fede, correttezza e diligenza”. Il lavoratore soccombente impugnava la decisione in cassazione a cui resisteva la società. La Corte di Cassazione ha ritenuto la decisione impugnata conforme all'orientamento giurisprudenziale secondo cui le attività svolte da un dipendente in ambito extra-lavorativo, anche se non in costanza di malattia, possono costituire una violazione dei doveri di correttezza e buona fede. Ciò, qualora esse non siano compatibili “con le condizioni fisiche che (abbiano) ridotto la sua capacità lavorativa con rischio di aggravamento delle condizioni stesse” (cfr. Cass. n. 155/2015; Cass. n. 1374/2018). L'obbligo di fedeltà a carico del dipendente ha un contenuto più ampio di quello risultante dall'art. 2105 c.c., dovendo essere interpretato in combinato disposto con gli artt. 1175 e 1375 c.c. che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extra-lavorativi. Comportamenti questi che non devono arrecare pregiudizio al datore di lavoro. In sostanza, l'obbligo di fedeltà non è circoscritto al mero divieto di porre in essere atti concorrenziali e/o violazioni di segreti produttivi, ma si estende al divieto di assumere condotte in contrasto con i doveri derivanti dall'inserimento del dipendente nell'organizzazione aziendale o che possano creare situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi dell'impresa o ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario sotteso ad ogni rapporto di lavoro. Proprio di recente la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che, ai fini della legittimità del licenziamento, è sufficiente la mera idoneità della condotta assunta a ledere potenzialmente gli interessi del datore di lavoro (cfr. Cass. n. 26181/2024). È, quindi, necessario valutare se l'azione sia astrattamente idonea a produrre un pregiudizio, indipendentemente dal danno economico effettivo, che assume un ruolo solo accessorio nella valutazione complessiva dei fatti. Secondo la Corte di Cassazione, la Corte territoriale non considera illecito disciplinare una condotta che sia esclusivamente confinata nell'ambito dei comportamenti privati del lavoratore, ma la considera rilevante nella misura in cui essa entri in conflitto con gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro. È principio consolidato che, nel complesso sistema di interazione tra il lavoratore e l'organizzazione aziendale in cui è inserito, gli obblighi a suo carico non si esauriscono nel mero adempimento della prestazione lavorativa. Ad essi si affianca, infatti, un insieme di doveri accessori o strumentali, anch'essi diretti a garantire la tutela di interessi del datore di lavoro che siano meritevoli di protezione. Tale impostazione risulta coerente con la natura del rapporto di lavoro subordinato, che costituisce una obbligazione tipicamente di durata, in cui l'interesse del datore di lavoro non si esaurisce nel mero adempimento della prestazione principale, ma si estende all'assolvimento di obblighi ulteriori, accessori e complementari, funzionali al corretto svolgimento del “rapporto obbligatorio principale”. Tali obblighi trovano la loro fonte integrativa nei doveri di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. che permeano l'esecuzione di ogni relazione contrattuale. Le violazioni di tali obblighi secondari possono integrare una giusta causa di licenziamento solo qualora abbiano un riflesso, anche solo potenziale, sulla funzionalità del rapporto, tale da compromettere irrimediabilmente le aspettative di un futuro puntuale adempimento dell'obbligazione lavorativa ovvero siano idonee, per le concrete modalità con cui si manifestino, ad arrecare grave pregiudizio agli scopi aziendali, anche in assenza di un danno economico effettivo (per tutte Cass. n. 16268/2015 e da ultimo, Cass. n. 267/2024 e 31866/2024). Appare, dunque, coerente con gli orientamenti giurisprudenziali succitati, il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale che ha giudicato come gravemente lesiva degli obblighi di fedeltà, correttezza e buona fede l'attività extra-lavorativa svolta dal lavoratore. Tale attività, non occasionale, è stata considerata potenzialmente idonea ad aggravare le patologie di cui era affetto, in presenza di prescrizioni mediche che sconsigliavano determinati sforzi fisici e che avevano già comportato una limitazione alla prestazione lavorativa esigibile dalla società. La condotta, valutata sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo, è stata, pertanto, ritenuta tale da compromettere irrimediabilmente l'affidamento del datore di lavoro sulla futura corretta funzionalità del rapporto di lavoro. In considerazione di quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso del lavoratore, condannandolo alle spese di lite.
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL