Nullità del recesso nel periodo di prova e reintegra

Nullità del recesso nel periodo di prova e reintegra

  • 18 Novembre 2025
  • Pubblicazioni
La Cassazione civile, Sezione Lavoro, 29 agosto 2025, n. 24201, ha ritenuto che il recesso datoriale motivato dal mancato superamento del periodo di prova, a fronte della nullità genetica dello stesso, determina l’automatica conversione dell’assunzione in definitiva sin dall’inizio e il venir meno del regime di libera recedibilità sancito dall’art. 1, Legge n. 604/1966. In tale ipotesi, il licenziamento intimato integra un licenziamento privo di giustificazione per manifesta insussistenza del fatto, cui si applica la tutela reintegratoria attenuata di cui all’art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 23/2015, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 128/2024. La fattispecie origina dall’impugnazione giudiziale del licenziamento irrogato a una lavoratrice inquadrata nella categoria Quadri per il mancato superamento del periodo di prova di 6 mesi, patto che si rivelava viziato da nullità per l’omessa indicazione delle mansioni oggetto di valutazione. La Corte d’Appello aveva accolto la domanda della ricorrente, dichiarando la nullità del patto e disponendo la reintegrazione nel posto di lavoro, decisione confermata dalla Cassazione. Il motivo principale dell’impugnazione da parte del datore di lavoro verteva sulla contestazione della qualificazione giuridica del licenziamento e sulla natura delle tutele applicabili. La società sosteneva che il recesso, pur in presenza di patto nullo, non dovesse configurarsi come licenziamento illegittimo soggetto alla disciplina limitativa, ex art. 18, St. Lav., ma piuttosto come libera manifestazione del potere di recesso previsto dall’art. 2096, c.c. Tale impostazione mirava a sottrarsi alle conseguenze sanzionatorie della reintegrazione, rivendicando la natura meramente risolutiva dell’atto. La Cassazione respinge categoricamente questa tesi, chiarendo che la nullità del patto di prova ex art. 2096, c.c., determina la conversione automatica del rapporto in assunzione definitiva sin dall’origine. Il principio di diritto affermato dalla Corte si fonda sull’applicazione analogica dei criteri stabiliti dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 128/2024, che aveva esteso la tutela reintegratoria attenuata alle ipotesi di insussistenza del fatto materiale nei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo sotto il regime del D.Lgs. n. 23/2015. La nullità del patto di prova, determinando l’inesistenza del presupposto giustificativo del licenziamento, integra ipotesi di “insussistenza del fatto materiale” equiparabile all’inesistenza del fatto disciplinare o della ragione economica. Tale equiparazione sistematica consente l’applicazione della reintegrazione attenuata, superando le limitazioni risarcitorie previste per i licenziamenti illegittimi nel regime del Jobs Act. La pronuncia consolida un orientamento garantista, che, valorizzando la forma scritta richiesta dall’art. 2096, c.c., a pena di nullità, tutela il lavoratore dalle conseguenze di patti viziati ab origine, confermando che il rispetto dei requisiti formali e sostanziali del periodo di prova costituisce presupposto inderogabile per l’esercizio del potere di recesso datoriale durante la fase probatoria.