Dimissioni di fatto, il termine è quello del contratto collettivo nazionale
- 12 Novembre 2025
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Il testo di legge sulle dimissioni di fatto è inequivocabile nello stabilire che il termine di riferimento è quello previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro, mentre il termine legale di 15 giorni opera solo in mancanza di previsione contrattuale. Si esprime così il Tribunale di Milano con la sentenza 4953/2025 del 29 ottobre, in cui affronta in modo specifico e diretto il tema dell’applicazione della norma sulle dimissioni di fatto contenuta nell’articolo 26, comma 7-bis, del Dlgs 151/2015, introdotto dalla legge 203/2024. Ma ricostruiamo i fatti. Una lavoratrice è stata assunta a tempo indeterminato dal 12 settembre 2022 con mansioni di educatrice (livello D1 Ccnl cooperative sociali) e si è assentata dal servizio a partire dal 7 gennaio 2025, comunicando telefonicamente al proprio referente di non essere in condizione di riprendere l’attività. Il 20 gennaio 2025, la società le ha consegnato una comunicazione con cui, preso atto della sua assenza ingiustificata protrattasi per oltre tre giorni (già previsti dal Ccnl applicato), la considerava dimissionaria per «dimissioni volontarie di fatto» ai sensi della nuova norma. Il giudice del Tribunale, ha accolto la tesi dell’avvocato della cooperativa sostenendo che la ratio legis di tale disposizione è chiaramente quella di contrastare il fenomeno delle assenze ingiustificate finalizzate a provocare un licenziamento disciplinare per accedere all’indennità di disoccupazione, introducendo una presunzione legale di volontà dismissiva del lavoratore in presenza di una sua prolungata e ingiustificata inerzia. Il primo tema affrontato in sentenza riguarda la durata minima dei 15 giorni. La difesa della lavoratrice ha, infatti, eccepito l’inapplicabilità della norma per il mancato superamento del termine di assenza minimi (ossia, proprio i 15 giorni). Secondo il giudice il testo di legge è inequivocabile nello stabilire un criterio alternativo e prioritario: il termine di riferimento è quello «previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro», mentre il termine legale di 15 giorni opera solo «in mancanza di previsione contrattuale». Il secondo tema affrontato riguarda le causali specifiche. Il giudice sostiene che «la nuova norma non fa altro che mutare la qualificazione giuridica degli effetti di tale condotta, trasformandola da presupposto per un licenziamento datoriale a fatto concludente che manifesta la volontà del lavoratore di recedere». Quindi, se il Ccnl applicato prevede espressamente per il licenziamento disciplinare «le assenze ingiustificate protrattesi per tre giorni consecutivi» la sentenza stabilisce che «è questo, dunque, il termine rilevante ai fini dell’applicazione del comma 7-bis dell’articolo 26». La sentenza affronta anche il tema del computo delle assenze, confermando la posizione del Tribunale di Trento secondo cui rilevano solo quelle a partire dal 13 gennaio 2025, ossia la data successiva all’entrata in vigore della norma. Dunque, l’impossibilità di ottenere una certificazione medica a causa dell’assenza per ferie della propria specialista di fiducia non è, secondo il giudice, una condotta che concretizza «l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza», prevista dalla legge. Pertanto, l’operato della società datrice di lavoro risulta pienamente conforme al quadro normativo e contrattuale. La cessazione del rapporto di lavoro è stata ritenuta imputabile esclusivamente alla condotta della lavoratrice, la cui prolungata assenza ingiustificata ha integrato la presunzione legale di dimissioni per fatti concludenti.
Fonte: SOLE24ORE