La controversia oggetto della sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 30 ottobre 2025 (causa C-373/24) ha origine in Croazia, dove un procuratore aggiunto della Procura comunale di Pola ha citato in giudizio la Repubblica Croata. Il magistrato, oltre al suo orario di lavoro standard di 40 ore settimanali, è inoltre tenuto a essere reperibile sia durante che al di fuori del normale orario di lavoro, durante il quale può essere chiamata a svolgere compiti urgenti, in particolare nell'ambito di procedimenti penali preliminari. Questi servizi di reperibilità possono essere di due tipi: il pubblico ministero, infatti, può essere tenuto a essere presente presso il proprio domicilio (servizio di reperibilità passivo) o presso la sede dell'ufficio del pubblico ministero (servizio di reperibilità attivo), e ciò senza interruzione, per poter svolgere, in qualsiasi momento, i compiti urgenti, quali per esempio: sopralluoghi su scene del crimine, incidenti stradali, infortuni mortali sul lavoro o per condurre i primi interrogatori. Il ricorrente ha sostenuto che tale organizzazione violasse la Dir. CE 88/2003, poiché non riusciva a garantire il diritto al riposo giornaliero e settimanale, portando addirittura al superamento del limite massimo di 48 ore lavorative settimanali. Ha proposto quindi ricorso dinanzi all'Općinski sud u Puli-Pola (Tribunale municipale di Pola-Pola, Croazia), giudice del rinvio, chiedendo il pagamento delle ore prestate nel corso degli anni dal 2015 al 2019 durante i periodi di guardia, alcuni dei quali svolti al di fuori del suo normale orario di lavoro, per un importo equivalente a quello corrispondente all'espletamento di tali ore. Evidenziando inoltre l'esposizione di quest'ultimo a stress e tensioni fisiche e mentali. Il giudice croato ha quindi sollevato tre questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia:
se un pubblico ministero rientri nella nozione di "lavoratore" ai sensi della direttiva;
se le sue attività possano essere escluse dall'applicazione della stessa;
se i periodi di reperibilità (sia attiva che passiva) debbano essere considerati "orario di lavoro".
La CGUE in primo luogo ha stabilito che i pubblici ministeri rientrano nell'ambito di applicazione della Dir. CE 88/2003. La nozione di "lavoratore" nel diritto dell'Unione è autonomae ha alla base un rapporto di subordinazione. I magistrati anche se godono di autonomia decisionale, essi si trovano comunque all'interno di una struttura gerarchica, soggetti a supervisione, valutazioni, sanzioni disciplinari e subordinati ai procuratori di grado superiore e al Ministero. Questi elementi caratterizzano l'esistenza di un rapporto di lavoro ai fini della direttiva. In secondo luogo, la Corte ha stabilito che la direttiva osta a una normativa nazionale che determini l'esclusione dell'attività dei pubblici ministeri dal suo ambito di applicazione in modo generalizzato. L'eccezione prevista dalla normativa europea per "particolarità inerenti" a certe attività della pubblica amministrazione è di stretta interpretazione: si applica solo in circostanze eccezionali. Il criterio utilizzato in tale disposizione per escludere talune attività dall'ambito di applicazione della direttiva, non si fonda sull'appartenenza dei lavoratori a uno dei settori della funzione pubblica contemplati da tale disposizione, bensì esclusivamente sulla particolarità di talune mansioni svolte dai lavoratori in tali settori, che giustifica un'eccezione alle norme sulla tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, in ragione dell'assoluta necessità di garantire una tutela efficace di tutta la collettività. La Corte ha rilevato che l'attività ordinaria dei PM, che prevede turni di reperibilità pianificati in anticipo e la possibilità di rotazione del personale, non rientra in questa eccezione. Infine, sul punto cruciale della reperibilità, la Corte ha ribadito, in linea con una giurisprudenza costante (sentenza del 10 settembre 2015, Federación de Servicios Privados del sindicato Comisiones obreras , C-266/14, EU:C:2015:578), che la nozione di "orario di lavoro" deve essere intesa in contrapposizione ai periodi di riposo, i quali si escludono a vicenda. Per la reperibilità attiva, svolta sul luogo di lavoro, la Corte ha confermato la sua giurisprudenza costante: l'obbligo di essere fisicamente presente nel luogo determinato dal datore di lavoro non può che considerarsi "orario di lavoro", indipendentemente dall'attività effettivamente svolta. Per quanto riguarda la reperibilità passiva, la Corte ha chiarito che anche questa deve essere qualificata interamente come "orario di lavoro" se i vincoli imposti al lavoratore sono di natura tale da incidere oggettivamente e in modo molto significativo sulla sua capacità di gestire il proprio tempo libero e dedicarsi ai propri interessi. Spetta comunque al giudice nazionale valutare se i vincoli imposti al procuratore croato fossero così stringenti da rientrare in questa casistica.
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL